La Deriva Cardiaca ed il Disaccoppiamento Aerobico – calibrare gli esercizi e valutare la performance


La Deriva Cardiaca

Vi è mai capitato di eseguire una serie di esercizi a potenza/intensità costante e notare che a parità di sforzo profuso, la frequenza cardiaca aumenti di qualche battito man mano che passa il tempo? Ebbene sappiate che questo fenomeno ha un nome ben preciso ed è stato studiato in medicina già molti anni fa. Stiamo parlando della Deriva Cardiaca. Il fenomeno, del tutto naturale, si manifesta con un aumento della frequenza cardiaca (FC) riscontrabile nel corso di esercizi eseguiti ad una potenza stazionaria. Per contestualizzare meglio il fenomeno proviamo a fare un esempio pratico prendendo come riferimento un ciclista che pedala all’interno di un velodromo per venti minuti, ad una potenza stazionaria di 230 watt che gli consentono di pedalare a 36 km/h. Appena partito, il nostro atleta vedrà la frequenza cardiaca aumentare rapidamente fino al raggiungimento di un valore apparente stabile in corrispondenza della potenza erogata, tuttavia dopo qualche km, a differenza di quanto atteso, sarà possibile notare che la FC continua ad aumentare leggermente fino alla fine dell’esercizio.

Per poter indagare sul fenomeno occorre adesso introdurre un paio di concetti che ci aiuteranno nella comprensione, si tratta della Scarica Sistolica, ovvero la quantità di sangue espulsa dal ventricolo sinistro durante ogni singolo battito e della Gettata Cardiaca che corrisponde al volume di sangue “pompato” al minuto, ovvero al prodotto tra scarica sistolica (ml) e battiti al minuto. Ancora un esempio ci aiuterà a comprendere il fenomeno. Ipotizziamo che il nostro atleta durante l’esercizio raggiunga la FC di 160 bpm con una Scarica Sistolica di 0,165 lt, mediante un semplice calcolo otteniamo un Gettata Cardiaca di 26,4 lt al minuto (160×0,165=26,4 lt).

Una volta chiarito il concetto di gettata cardiaca intesa come la portata di sangue al minuto che viene pompata ai muscoli (oltre che agli altri organi) chiariremo come il fabbisogno di ossigeno richiesto dall’esercizio venga garantito dal cuore in due modi: con l’aumento della Scarica Sistolica (fino ad una certa percentuale dello sforzo massimo sostenibile) e con l’aumento della frequenza cardiaca. Entrambi questi fenomeni si manifestano non appena il nostro atleta inizia a pedalare nel velodromo.

Tornando al tema in analisi adesso possiamo affermare che nel corso dell’esercizio a potenza costante la Scarica Sistolica si riduce leggermente con il passare dei minuti pertanto, per compensare la riduzione della quantità di sangue che verrebbe “pompato” ai muscoli, il nostro organismo si vede costretto ad aumentare la FC. Questo è esattamente il fenomeno che volevamo descrivere, tuttavia sulle sue cause esiste ancora un ambito di incertezza anche se sembra che una certa dipendenza sia dovuta all’aumento della temperatura corporea.

Ai nostri fini interessa sapere che il fenomeno esiste e in quali circostanze si manifesta in modo da poter adeguare al meglio ciascun esercizio, soprattutto nei casi di atleti che fanno uso del solo Cardio Frequenzimetro.

Per tutti gli atleti che si allenano seguendo le indicazioni della frequenza cardiaca è bene tenere in considerazione questo fenomeno al fine di non incorrere in un’esecuzione errata degli esercizi. Facendo ancora ricorso ad un esempio pratico, se il nostro atleta dovesse eseguire un intervallo medio lungo in Z3 di potenza, seguendo le sole indicazioni del cardio frequenzimetro, rischierebbe di non rispettare il target nella seconda parte dell’esercizio, finendo per pedalare ad un wattaggio inferiore a quello richiesto. La riduzione sarebbe dovuta, come spiegato in precedenza, alla diminuzione della Scarica Sistolica ed al conseguente aumento della FC. Il nostro ciclista, senza rendersene conto finirebbe per adeguare la propria potenza su livelli inferiori al fine di rispettare la FC indicata dal cardio frequenzimetro.

Lo stesso fenomeno potrebbe verificarsi nel caso di più esercizi identici eseguiti a potenza costante nel corso di uno stesso allenamento. Le ripetute eseguite nella parte finale dell’uscita subirebbero un calo di potenza qualora il ciclista intendesse rispettare una FC costante.

Detto questo ricordiamo di tenere in considerazione il fenomeno ogni qual volta ci accingiamo a eseguire lavori utilizzando i soli dati del cuore… in caso volessimo mantenere constante la potenza erogata nel finale occorre accettare un lieve aumento della FC. Leggendo lo stesso fenomeno in maniera inversa, qualora volessimo eseguire ripetute che impegnino il cuore in maniera costante ricordiamoci che sarà necessario ridurre leggermente il wattaggio erogato sul finire dell’esercizio.

Il Disaccoppiamento Aerobico

Il fenomeno della deriva cardiaca può fornire informazioni molto utili sullo stato di preparazione da testare periodicamente mediante l’analisi del Disaccoppiamento Aerobico (DA).

Il concetto è stato introdotto ed approfondito in ambito ciclistico tra gli altri, da Joe Friel autore di “The Cyclist’s Training Bible” e, semplificando un po’, consiste in un indicatore in grado di fornire informazioni sulla solidità delle “fondamenta aerobiche” costruite nel corso della preparazione. Conoscere questo dato è utile per determinare quando l’allenamento di base può lasciare il posto a quello a carattere specifico. Un tempo, i vecchi allenatori, dicevano che la “gamba sarebbe stata pronta” per passare a lavori a più alta intensità dopo aver percorso un certo numero di km ad andature “regolari”… beh sicuramente un modo di dire e una stima dettata dall’esperienza e dall’intuizione ma probabilmente carente di fondamenti scientifici.

Con specifici test è possibile infatti determinare e quantificare in termini percentuali il disaccoppiamento. Chi utilizza solo il cardio-frequenzimetro dovrebbe infatti conoscere il proprio livello di disaccoppiamento aerobico ma soprattutto quanto tempo intercorre prima che la percentuale di disaccoppiamento raggiunga un livello che andrà a compromettere il resto della sessione di gara o di allenamento.

Tornando in ambito ciclistico e procedendo ancora per esempi pratici potremmo prendere in considerazione una cronometro pianeggiante di 40 km. Il nostro atleta, una volta lanciato dalla rampa, cercherà di raggiungere gradualmente il valore di potenza ottimale (in relazione alla durata della prova, in questo caso intorno alla propria FTP) per poi stabilizzarsi in cadenza e potenza cercando di mantenerlo per tutta la durata della cronometro.

In un percorso pianeggiante, quindi a sforzo “meccanico” costante, sarà possibile dividere l’evento in due metà esatte e successivamente rapportare i dati relativi alle medie di potenza e frequenza cardiaca della prima e della seconda metà. Il risultato, espresso in termini percentuali esprime il disaccoppiamento aerobico, più il valore si avvicina a zero, più robuste sono le fondamenta aerobiche.

Abbiamo parlato di uno strumento importante, ma non certo infallibile. Per monitorare le proprie prestazioni nel corso della stagione sarà infatti necessario effettuare un confronto tra prove effettuate in condizioni simili. Allenamenti intermittenti o a carattere fortemente anaerobico, così come disidratazione ed altri fattori esogeni possono per esempio generare valori di disaccoppiamento non corrispondenti alla realtà pertanto, se non in presenza di appositi test oppure difronte ad allenamenti effettuati in specifiche condizioni, potrebbe essere fuorviante avvalersi di strumenti di valutazione del genere.

Strade Bianche 2020, prepariamoci per tempo!


A pochi giorni dall’apertura delle iscrizioni per l’edizione 2020 c’è già chi pensa ad impostare la preparazione invernale con l’obiettivo di ben figurare in una delle prime manifestazioni della stagione, la GF Strade Bianche di Siena… e a dirla tutta, lo riteniamo un buon approccio anche noi di PowerLab! Non occorre certo cimentarsi fin da subito in lavori specifici tarati ad hoc sul percorso della gara, ma sarà buona cosa fin dal periodo successivo alla “transizione” avere le idee chiare su come strutturare la preparazione. Se consideriamo il mese di ottobre come la fine della stagione in corso e ci concediamo un paio di settimane di relax tra fine ottobre ed inizio novembre, capiremo come il tempo a disposizione per arrivare pronti alla Strade Bianche di marzo 2020 non sarà poi così tanto.

Quindi prima ancora di entrare nel merito della specificità dell’allenamento necessario per preparare al meglio un evento così “particolare”, ci piacerebbe illustrarvi i pacchetti di preparazione alla gara, che abbiamo realizzato e per il periodo compreso tra novembre e marzo, con la possibilità di ingresso fin da novembre per coloro che intenderanno affrontare con noi tutte le fasi, compresa la parte iniziale di potenziamento in palestra, il periodo di base, fino ad arrivare alla preparazione speciale di febbraio, mentre prevedremo una seconda finestra di ingresso a gennaio per coloro che avranno già eseguito in autonomia una parte di preparazione generale ed intenderanno effettuare con noi solo una rifinitura, calibrando i lavori sul modello di prestazione richiesto dalla gara stessa.

Dettagli sul link sottostante.

Nel frattempo vi proponiamo la cronaca “romanzata” della partecipazione di due nostri atleti alla scorsa edizione… BUONA LETTURA!

Gran Fondo Strade Bianche, dove la gloria si nasconde tra polvere, fango e pietra serena.

Siena, antico avamposto romano del 30 a.C. Sorge sulla sommità di una collina al centro tra l’aspro paesaggio della Val d’Orcia e le morbide pendenze lussureggianti del Chianti. Terra di filosofi, pensatori, pittori e papi che oggi ospita nei propri territori una tra le più recenti ma affascinanti competizioni ciclistiche di Gran Fondo internazionali. A metà del 1330 Ambrogio Lorenzetti raffigurava nei sui affreschi “Gli effetti del buon governo in città e in campagna” la magia della città e della campagna che la circondano e questa Gran Fondo da, a chiunque lo volesse, la possibilità di gareggiare in questo contesto unico con l’arrivo in una delle piazze più antiche realizzate dall’uomo, riconosciuta patrimonio dell’UNESCO.

Adesso basta con la poesia, è il momento di allacciare il casco serrare il BOA degli scarpini e pensare a spingere fin quando le gambe saranno così vuote da rimpiangere l’istante in cui hai attaccato il numero al manubrio. Talvolta la pioggia, la polvere, il vento possono essere l’incognita mentre le costanti saranno sempre quei 31.4 km di strade bianche, irregolari cariche di quel ciclismo epico che noi tutti amiamo rivivere. La strada per la gloria è lunga più di 134 km, con i polsi che si piegano sotto i colpi delle pietre la schiena che si flette sulle ripide improvvise pendenze e con la polvere che negli occhi lascia il posto alla luce che si crea nell’attimo in cui si attraversa il traguardo all’ombra del sontuoso Palazzo Comunale.

La nostra filosofia, il nostro modo di intendere il ciclismo, contrappone però all’epicità e al calore degli eventi il raziocinio e la freddezza dei numeri e della matematica, in PowerLab facciamo questo. Cosa rende la GF Strade Bianche un evento così particolare e unico al mondo? Il panorama, il contesto…ok … questo è noto a tutti, ma la gara? Cosa la rende così amata e al contempo odiata da tutti i suoi partecipanti?

Proviamo a dare risposte queste domande, nel nostro stile chiaramente. Analizziamo il profilo altimetrico, 2100 m circa di dislivello che si accumulano percorrendo un totale di circa 30 saliscendi con pendenze che spesso superano il 10%. Facendo un rapido calcolo ci troviamo ad affrontare una salita impegnativa una volta ogni 4 km circa da percorrere comunque su falsi piani o sul così detto mangia e bevi. La lunghezza delle salite varia passando da strappi della durata di un minuto/un minuto e mezzo a medio brevi percorrenze di nove, undici minuti consecutivi. Questa variabilità di sforzi comporta un impegno fisiologico molto elevato ed una preparazione specifica ben delineata oltre a periodi di base con lavori di fondo adeguati alla distanza da coprire. Forza, resistenza e capacità di recupero saranno fondamentali per concludere questa imponente sfida, senza dimenticare la cura della parte anaerobica e del Vo2 Max per tutti coloro che vorranno affrontare la gara in “modalità race” e necessariamente si troveranno a sconfinare ripetutamente in tali domini durante i ripidi e brevi strappi. Negli ultimi anni, il ritmo imposto dai battistrada è sempre più elevato quindi padroneggiare il proprio mezzo con dimestichezza su fondi stradali irregolari rappresenta una chiave fondamentale di risoluzione. Importante, se non addirittura fondamentale, è arrivare agli ultimi 20 km, dove degli sforzi importanti devono ancora palesarsi, con energia disponibile in corpo. Sarà quindi necessario alimentarsi adeguatamente ed idratarsi in modo costatante con il giusto apporto salino per ripristinare l’omeostasi del corpo. Nelle sessioni di allenamento preparatorie dovremmo abituarci a quantificare il dispendio energetico e imparare a sopperire al deficit ed abituare il corpo a trarre energia da tutti i substrati disponibili. Sono compiti gravosi, che possono arrivare solo da un’analisi attenta ed esperta delle necessità di gara in relazione al singolo atleta.

Ma, cosa rende magica questa corsa? Siena è conosciuta al mondo anche per un altro evento, amato e odiato, il Palio. Da sempre una componente condiziona l’esito di quella folle corsa sul tufo, la Sorte. Tufo e strade bianche, unite sotto l’egida della sorte che può essere clemente oppure rendervi la vita impossibile. Due dei nostri atleti nell’edizione 2019 hanno avuto la possibilità di vivere sulla loro pelle quanto la sorte possa essere severa, entrambi ben preparati, uno trova la gloria con un’ottima prestazione nel percorso medio piazzandosi nei primi 50 assoluti, l’altro è costretto a ripiegare le proprie armi per una sequenza di forature e rimandare tutto all’anno successivo.

Sì, all’anno prossimo, perché della Strade Bianche una volta che ne hai vissuto l’atmosfera e calcato quelle tracce polverose te ne innamori e non puoi perdere l’occasione di riprovare a pedalare nella leggenda.

Fine stagione, periodo di transizione.

Vediamo come affrontarlo.

La stagione agonistica 2019 sta ormai volgendo al termine insieme alle ultime gran fondo, agli ultimi sprint al cardiopalma nei circuiti ed alle ultime salite impolverate delle gare XC. Per molti di noi sarà stata una stagione impegnativa, ricca di eventi che, come ultimamente accade, iniziano sempre più in anticipo. Lunghi periodi agonistici e preparatori esigono obbligatoriamente, per chi volesse mantenere un livello psico-fisico adeguato, periodi di transizione e di stop dell’attività.

A qualsiasi livello ci poniamo, sia esso amatoriale di medio alto livello che professionistico, il periodo definito di “transizione” o transitorio ha il ruolo di Caronte nei confronti di Dante nella Divina Commedia e ci traghetterà dalla fine della stagione in corso verso lo stop e l’inizio della stagione successiva.

Come gestire questa transizione?

Al termine dell’ultima competizione calendarizzata inizierà un periodo compreso tra 10 e 15 giorni che vedrà una riduzione progressiva del carico allenante e dell’intensità. Si svolgeranno uscite di gruppo dove l’intensità si attesterà tra il 70-75% del periodo agonistico ed i volumi progressivamente andranno riducendosi per consentire al corpo di adattarsi alla futura situazione di relax. Non si seguiranno tabelle e schemi predefiniti, lo scopo, oltre a quello di rigenerare il corpo sarà quello di rilassare la mente e svincolarla dal rigore del programma fino ad ora eseguito. Al termine del periodo di transizione, prima dello stop stagionale, sarebbe opportuno eseguire un test valutativo.

Inizierà così, un periodo di distacco dall’esercizio della bicicletta, potremmo svolgere attività alternative con il solo scopo ricreativo. Nel periodo pre-invernale prima della preparazione specifica, possono essere svolte attività com il Cross Training, in nuoto e per chi ne avesse le possibilità qualche corsa a piedi. Fondamentale sarà cercare di mantene il proprio peso corporeo in una finestra di 3 o 4 kg in più rispetto al nostro standard, questo ci eviterà enormi sacrifici alla ripresa dell’attività. In questo periodo, se caratterizzato da sedentarietà eccessiva, potremmo notare anche una lieve diminuzione della massa muscolare che potrebbe però essere seguita da un probabile incremento di peso dovuto all’accumulo di massa grassa. Conoscere il proprio fenotipo a livello fisico può esserci d’aiuto per gestire al meglio le variazioni di peso tramite una corretta e mirata alimentazione.

Paradossalmente questo periodo è mal vissuto dagli atleti e a tal proposito il periodo transitorio ha il compito di “disintossicare” il corpo e la mente dalla dipendenza dall’esercizio fisico rendendo poi il periodo di stop più facilmente gestibile. La fame, il senso di smarrimento iniziale e la carenza di endorfine potrebbero rendervi nervosi ma svolgere attività piacevoli vi ricaricherà sia fisicamente che mentalmente rendendovi nuovamente motivati per affrontare una nuova preparazione ed una nuova stagione agonistica.

Power Meter, impariamo a conoscerlo e ad utilizzarlo.


Introduzione

Il binomio tecnologia e ciclismo da sempre rimane al centro della passione che molti di noi riversano in questa attività. La ricerca della prestazione è il fulcro dell’innovazione, nei materiali, nell’alimentazione e nella preparazione.

Cenni storici

Come valutare la risposta atletica in funzione del carico di allenamento, era il quesito al quale i medici russi a metà degli anni 50 del secolo scorso cercavano di dare risposta. In quel periodo nascevano infatti i principi di periodizzazione, si avevano le prime evidenze di come un’alternanza di volume e intensità del carico allenante nel corso della stagione generasse una migliore risposta atletica, invece dei classici e desueti metodi che prevedevano un carico pressoché costante durante tutto l’anno. Un’altra domanda però attanagliava i preparatori di allora: come misurare il carico di lavoro di ogni singola sessione di allenamento in uno sport come il ciclismo? Nel mondo del sollevamento pesi era semplice, era già noto infatti nell’Europa dell’Est un principio tutto sommato abbastanza semplice e al contempo molto preciso. Si misurava il tonnellaggio contando ripetizioni e serie in funzione dalla percentuale sul carico massimale di ogni individuo; ma in un’attività con tipologie di sforzi combinati come il ciclismo svolto alla presenza di variabili esterne come vento, salite, discese, scie ecc. come si poteva quantificare con esattezza il lavoro svolto?
Il volume, espresso in chilometri percorsi, è stata la principale chiave di lettura fino alla metà degli anni cinquanta. Con il progresso tecnologico che man mano avanzava, si iniziò ad esprimere il volume non più in km ma in tempo impiegato sotto sforzo. Simo ormai al 1960 quando il monitoraggio della frequenza cardiaca inizia ad entrare nelle menti dei preparatori ma solo nel 1975, sulle gelide piste da sci ghiacciate finlandesi, nasce l’idea di un sistema portatile di monitoraggio istantaneo della frequenza cardiaca. Nel 1979 la ditta Polar ottenne il suo primo brevetto per la misurazione della frequenza cardiaca e nel 1982 lancia il primo cardio-frequenzimetro da polso senza fili.

Monitoraggio, il nome, Istantaneo invece è il suo cognome.
Lo strumento, allora rivoluzionario, consentiva per la prima volta di monitorare in tempo reale l’attività al fine di verificarne l’intensità ed avere un riscontro delle prestazioni dell’atleta e della risposta al carico allenante.

Il cardio-frequenzimetro però è destinato a condividere lo scettro con un altro strumento di analisi della prestazione: il misuratore di potenza. Nel 1986, Ulrich Schoberer fondatore della ormai blasonata SRM acronimo di Schoberer Rad Messtechnik ha progettato, prodotto e presentato la domanda per ottenere il brevetto per il primo dispositivo capace di misurare la forza prodotta durante la pedalata in bicicletta. La tecnologia, sempre più miniaturizzata, fa si che nemmeno un decennio dopo le biciclette potessero essere equipaggiate con elementi elettronici in grado di misurare la forza generata dall’atleta; siamo ormai nel 1991 quando a St. Moritz (CH) la nazionale teutonica organizza il primo stage di allenamento con biciclette equipaggiate con PM (power meter). Svariate sono le tecnologie che stanno dietro a questi strumenti ma tutte prendono in considerazione la stessa relazione Lavoro/Tempo. Semplificando, questi strumenti rendono misurabile con estrema precisione lo sforzo profuso dall’atleta determinando i joule prodotti in un determinato arco di tempo, non c’è salita, discesa, vento a favore o vento contrario che possano inficiare questa misura che viene definita assoluta, e in quanto tale, riesce a superare i limiti che erano presenti nei metodi di analisi precedenti, dove per avere una stima del lavoro prodotto ci si affidava prima al conto dei km fatti, poi alla somma delle ore e in seguito alla somma delle ore trascorse in un determinato range di frequenza cardiaca.

Per adesso tralasceremo la fisica che sta dietro al funzionamento di questi strumenti, la tratteremo in uno specifico articolo sulla relazione tra momento di forza e velocità angolare.

L’avvento del Power Meter (PM) non sostituisce di fatto il cardio frequenzimetro, anzi ne implementa i risultati di analisi. L’esercizio del ciclismo è un’attività sia cardiovascolare in ambito prevalentemente aerobico che di tipo prettamente meccanico di generazione di forza. L’analisi dei dati di frequenza cardiaca uniti a quelli della potenza in output ci permettono di avere uno spaccato in tempo reale di tutte le capacità atletiche, siano esse biologiche o meccaniche.

Perché utilizzare il misuratore di potenza?

Cardio frequenzimetro e misuratore di potenza: il binomio perfetto. Quello che negli anni ha in parte limitato la propagazione dei PM è stato essenzialmente il costo dello strumento. A fronte di una spesa cospicua, molti si chiedevano se in realtà fosse uno strumento utile o meno. Al di là del costo, che rappresenta comunque un fattore primario nelle scelte di acquisto di molti amatori (anche se negli ultimi anni si è notevolmente abbassato), i vantaggi del PM sono innumerevoli. Questo strumento rende gli allenamenti altamente specifici, dando la possibilità ai preparatori di valutare con esattezza i punti di forza e di debolezza dei propri atleti, permettendo di realizzare programmazioni sulle reali esigenze dei propri assistiti e tenere in considerazione il carico di allenamento giornaliero, settimanale, mensile e stagionale con una precisione che fino a qualche anno fa non era nemmeno ipotizzabile.

Come si utilizza un misuratore di potenza

Dopo aver scelto il modello preferito ed eseguito il montaggio sulla propria bici occorre collegare lo strumento al ciclo computer, oggi la procedura avviene quasi sempre con pochi semplici passaggi, anche tra prodotti appartenenti a differenti brand grazie alla compatibilità quasi totale data dal linguaggio di comunicazione Ant+. Una volta terminata la procedura di abbinamento vedrete magicamente comparire sul computer (dopo averlo, in alcuni casi, configurato nelle schermate da visualizzare) dei dati di cui prima ignoravate l’esistenza: potenza istantanea, bilanciamento della pedalata sinistra/destra, KJ ecc. Questi dati oltre ad ipnotizzarvi nei primi giorni di utilizzo serviranno a guidarvi nell’esecuzione degli esercizi, nella corretta gestione dello sforzo in relazione alla rispettiva durata dello stesso ed a creare il vostro database storico. Grazie alla possibilità di memorizzare le sessioni prima nella memoria interna del ciclo computer poi, tramite download in appositi software di analisi, sarà possibile accumulare dati relativi a sessioni di allenamento, test, gare, oppure intervalli.

La raccolta dei dati e la conseguente analisi post workout rappresentano un fattore chiave nell’utilizzo di un power meter, molto spesso questa parte non viene presa sufficientemente in considerazione dall’atleta, ovviamente l’utilizzo di uno strumento del genere può tranquillamente essere relegato al soddisfacimento della mera curiosità di conoscere la propria potenza istantanea o media durante una sessione di allenamento, tuttavia riteniamo che in questi casi l’investimento non apporti un grande beneficio al miglioramento della prestazione, nell’altro caso invece l’investimento darà i suoi frutti! Siamo consapevoli che non è semplice interpretare i dati, occorre un po’ di formazione e di studi preventivi tant’è che spesso è opportuno appoggiarsi ad una figura qualificata, ma una volta che l’atleta avrà ricevuto le giuste indicazioni avrà con sé uno strumento straordinario.

Tornando all’utilizzo in “real time” del misuratore va detto che, come già avveniva con il cardio frequenzimetro, occorre impostare le zone di allenamento. A seguito di un test specifico verranno ricavate le zone di intensità’ espresse in watt affiancate anche dell’intervallo di frequenza cardiaca corrispondente.

Ad ogni accensione diventa fondamentale eseguire l’azzeramento (calibrazione) dello strumento. Si tratta di una procedura che consente di compensare variazioni nei materiali dovute a condizioni ambientali, quali ad esempio la temperatura in modo da annullare queste variabili e rendere i dati confrontabili sessione dopo sessione.

Conclusioni

Adesso siamo pronti, ogni strada in salita o in discesa che sia diventerà un terreno perfetto per allenarsi. Saprete sempre in che condizione vi trovate, quanto lavoro state producendo e per quanto tempo sarete in grado di mantenerlo. Saprete a che punto vi trovate nella curva di carico settimanale, mensile e stagionale, riceverete indicazioni dettagliate e specifiche dai vostri coach sugli allenamenti da fare e invierete un feedback dettagliato delle vostre sessioni di allenamento. Saremo in grado di guardare dietro alle classiche frasi “stavo bene” oppure “le gambe non giravano”. Saremo in grado di capire l’andamento delle gare, come fossero registrate su un nastro e poterle analizzare.
Citando qualcuno che ha attirato schiere di fan vi diciamo… “Che la Forza sia con voi…” o meglio in questo caso… la Potenza!

Fonti

Cross Training, alternativa interessante.


L’inverno, per il ciclista amatore che svolge un lavoro durante la settimana, spesso rappresenta un incubo. Le ridotte ore di luce, il maltempo e la paura di ammalarsi spesso ci costringono ad allenamenti statici a medio alta intensità, con carattere prettamente specifico. Questo determina un miglioramento o talvolta un mantenimento delle capacità specifiche se stiamo seguendo un programma di allenamento ben strutturato. Cosa cambia allora tra il periodo invernale e quello estivo? Sostanzialmente viene a mancare un elemento fondamentale nell’accrescimento del livello di Fitness dell’atleta: il volume. Per volume si intende la somma dei tempi delle singole attività nei micro-cicli di allenamento in visione della totalità dei meso-cicli. La definizione di volume non è universale, ogni sport ha una sua caratterizzazione ben definita: nel ciclismo spesso è considerata come “Tempo” o “Chilometraggio” (ormai metodologia desueta).
Il Cross Training, nato nel mondo del Triathlon dalla necessità di allenare tre discipline contemporaneamente, può rappresentare una valida alternativa indoor per aumentare il volume totale di allenamento. Si tratta di allenare il corpo nella sua totalità, con un approccio olistico al raggiungimento del Fitness . Il periodo invernale rappresenta un ottimo momento per praticare questa attività con lo scopo di riequilibrare il sistema neuro-muscolare e capacitivo. Il ciclismo è un’attività che vede coinvolta la parte muscolare inferiore del corpo per un buon 75%, ed è definito come uno sport “in sospensione” con il corpo che svolge la sua attività motoria non a contatto diretto con il terreno, tramite un mezzo meccanico. Nell’anno agonistico, con la pratica di esercizi specifici dedichiamo la maggior parte del tempo di allenamento al raggiungimento del picco di forma. La teoria moderna dell’allenamento, impone però che durante l’anno vengano svolte attività parallele, atte a migliorare le capacità secondarie ma indispensabili al raggiungimento della forma. Praticare Cross Training o meglio un’attività da svolge in palestra, a casa o in centri specializzati per l’allenamento funzionale, può essere un valido strumento per migliorare le proprie capacità sulla bici. Si utilizzano strumenti talvolta “banali” come elastici o manubri oppure attrezzature espressamente realizzate. Il corpo viene allenato nella sua totalità, coinvolgendo contemporaneamente tutti i distretti neuro-motori tramite lo svolgimento di attività multiple apparentemente anche in contrasto tra di loro. Questo comporta, oltre all’attivazione dei centri motori lievemente sopiti, uno spostamento costante di ampi volumi di sangue da un distretto muscolare all’altro comportando un lavoro cardio-respiratorio importante con livelli di VO2Max che possono raggiungere anche l’85% del massimo. Questo allenamento, come quello che quotidianamente svolgiamo sulla bici, dovrà essere calibrato e costruito sull’atleta in base alle sue capacità motorie, schemi motori acquisiti nella vita sportiva ed eventuali deficit fisici.
Detto questo non rimane che “risvegliare” la nostra voglia di imparare abbandonando per un po’ la nostra zona di confort…vedrete che l’inverno non sarà cosi lungo come ci impone il calendario!

Struttura di un allenamento specifico

Cronaca di tranquillo giovedì di paura… #specifico #allenamento Livelli, soglie allenanti, lavoro specifico… termini che da soli non danno nessuna informazione a livello di allenamento ma se assemblati in un più ampio contesto definiscono la nostra attività quotidiana. Premessa: nella periodizzazione del nostro atleta alcune gare ritenute meno importanti sono già state fatte e da poco sono iniziate le prime gare con pendenze e percorrenze più severe. Per definizione si è appena concluso il periodo pre-agonistico e sta iniziando quello competitivo. Gli allenamenti del nostro atleta dovranno essere complementari agli eventi agonistici per guadagnare fitness ma al contempo arrivare riposato al momento della competizione.

Veniamo alla cronistoria: Sessione di allenamento delle ore 17:50, un giovedì del mese di marzo, il sole si appresta a scomparire dietro i pendii quando il nostro atleta sta allacciando il casco e stringendo gli scarpini pronto per iniziale. La sua periodizzazione prevede che nei prossimi mesi (meso-cicli) vengano disputate quattro o cinque competizioni di cui due ritenute più importanti delle altre. A livello settimanale (micro-ciclo) il programma prevede almeno 6 sessioni con intensità e lavori specifici basate sulle sue necessità personali e sulle disponibilità di tempo. Inizia effettuando un riscaldamento ad andatura crescente con rapporti agili con lo scopo di preparare il corpo, sia a livello cardio respiratorio che a livello articolare, ad iniziare la sessione di allenamento. La valutazione del profilo di gara degli eventi al quale intende partecipare, fa si che gli schemi di allenamento tengano anche conto in linea generale delle difficoltà che dovrà affrontare. Nel giorno in questione, il programma prevede un allenamento specifico per migliorare la sua capacità di percorrere intervalli medio lunghi ad andature sostenute, in definitiva l’obiettivo è migliorare l’erogazione di potenza intorno a durate comprese tra i 15 e i 20 minuti. Una volta effettuato il riscaldamento, sono previsti due intervalli sotto-soglia di almeno 15 minuti seguiti da un tempo di recupero capace di ripristinare le riserve energetiche. La cadenza è agile ma comunque specifica in base alla tipologia di “forza” che deve essere stimolata. Una volta effettuato il secondo recupero l’atleta effettua un lavoro intermittente a medio/alta intensità fatto di almeno 15 ripetizioni con recupero incompleto.

Nella periodizzazione del nostro atleta alcune gare ritenute meno importanti sono già state fatte e da poco sono iniziate le prime gare con pendenze e percorrenze più severe. Per definizione si è appena concluso il periodo pre-agonistico e sta iniziando quello competitivo. Gli allenamenti del nostro atleta dovranno essere complementari agli eventi agonistici per guadagnare fitness ma al contempo arrivare riposato al momento della competizione. Sessione di allenamento Ore 17:50, un giovedì del mese di marzo, il sole si appresta a scomparire dietro i pendii quando sta allacciando il casco e stringendo gli scarpini pronto per iniziale. La sua periodizzazione prevede che nei prossimi mesi (meso-cicli) vengano disputate quattro o cinque competizioni di cui due ritenute più importanti delle altre. A livello settimanale (micro-ciclo) prevede almeno 6 sessioni con intensità e lavori specifici basate sulle sue necessità personali e sulle disponibilità di tempo. Inizia effettuando un riscaldamento ad andatura crescente con rapporti agili con lo scopo di preparare il corpo, sia a livello cardio respiratorio che a livello articolare, ad iniziare la sessione di allenamento. La valutazione del profilo di gara degli eventi al quale intende partecipare, fa si che gli schemi di allenamento tengano anche conto in linea generale delle difficoltà che dovrà affrontare. Nel giorno in questione, il programma prevede un allenamento specifico per migliorare la sua capacità di percorrere intervalli medio lunghi ad andature sostenute. Una volta effettuato il riscaldamento, sono previsti due intervalli sotto-soglia di almeno 15 minuti seguiti da un tempo di recupero capace di ripristinare le riserve energetiche. La cadenza è agile ma comunque specifica in base alla tipologia di “forza” che deve essere stimolata. Una volta effettuato il secondo recupero l’atleta effettua un lavoro intermittente a medio/alta intensità fatto di almeno 15 ripetizioni con recupero incompleto.

Il breve lasso di tempo di recupero viene sfruttato per reintegrare con zuccheri semplici e se necessario anche con un integratore a base di caffeina. Lo attendono almeno altri due intervalli della durata di 5 minuti a livello di VO2Max intervallati da un tempo di recupero equivalente a quello della ripetuta. Giunge al termine dell’allenamento dopo almeno 20 minuti di defaticamento utile a riportare lo stato omeostatico del corpo. La durata dell’allenamento supera le due ore e viene svolto senza soluzione di continuità, con un’intensità relativa (IF) superiore al 87%. Adesso Sarà importante eseguire un corretto periodo di recupero dove saranno re-integrati i nutrienti esauriti. Valutando il profilo di allenamento si nota come venga svolta un’importante attività aerobica ad alta intensità che comporta un consumo molto elevato degli anti ossidanti e la formazione di un alto quantitativo di prodotti di scarto. Sarà quindi opportuno alimentarsi in modo ottimale. Specifico, personalizzato e modulabile. Queste sono le parole chiave per un allenamento proficuo.

Allena il recupero

La chiave del successo e del miglioramento delle prestazioni, sta nell’eseguire un piano di allenamento calibrato e strutturato, ma non solo. Ogni volta che ci sottoponiamo ad uno sforzo sia esso di allenamento o competitivo cosa succede al nostro corpo? Che genere di reazioni si innescano? La principale delle reazioni che avviene conseguentemente ad un evento allenante è la fatica. Con questo termine si identifica una sommatoria di attività fisiologiche scaturite dall’attività svolta. La fatica, come vedremo anche in altri articoli, può essere fisica, mentale o entrambi i casi. Occupiamoci oggi di quella classica e più facile da identificare: la fatica fisica.

Abbiamo appena terminato la nostra competizione, abbiamo dato il massimo, siamo stati concentrati e attivi fino all’ultimo istante. Le nostre riserve energetiche sono state depauperate e le gambe sono gonfie e dure. Sintomatologie che chiunque si sia cimentato almeno una volta in una competizione conosce bene. Si conoscono meno bene i fenomeni che causano queste sintomatologie. Il ritmo e la durata dalla competizione determinano il consumo dei substrati energetici e anche di quelli strutturali. Come principale fonte di “combustibile” il nostro corpo utilizza Glucidi e Lipidi ma oltre a questo l’apparato locomotore subisce un’usura tessutale, delle micro-lesioni responsabili dei tanto famosi DOMS (DelayedOnsetMuscleSoreness) ovvero Dolori Muscolare Post-Allenamento.

Teniamo a precisare che i dolori del giorno dopo NON dipendono dall’acido lattico non smaltito e ancora presente nei muscoli ma dalle lesioni muscolari causate dallo sforzo. Come possiamo affrontare il giorno dopo di una gara? Rimaniamo ancorati al divano? Ci ingozziamo e aspettiamo che passi il mal di gambe o ci affidiamo a qualche prodotto magico da qualche centinaio di euro a ml ? Nessuna delle tre risposte è quella corretta. Il giorno successivo ad una gara facciamo quello che abbiamo fatto il precedente: ci alleniamo, ma ci alleniamo a recuperare. Attuiamo una corretta strategia alimentare post gara, che inizia immediatamente dopo il traguardo e che ci garantirà il giusto reintegro di nutrienti necessari. Parliamo di strategia in quanto sarà il timing e la tipologia degli alimenti che consumeremo a garantire il corretto processo di rigenerazione. A coadiuvare la strategia alimentare sarà presente un allenamento della durata variabile tra i 70 e 120 minuti. L’intensità sarà inferiore al 50% della propria FTP. La gara del giorno prima ci ha provato non solo muscolarmente ma soprattutto a livello ormonale. I livelli di testosterone, specie quello libero, saranno molto bassi mentre gli ormoni catabolici come il cortisolo saranno presenti in grandi quantità. L’attività aerobica prolungata, contrariamente a quella intensa e breve, comporta una riduzione di GH e Testosterone. Pertanto l’allenamento del giorno successivo sarà mirato a smaltire le tossine trasportate dal sistema linfatico e a stimolare la ripresa della sintesi proteica, l’unica cosa in grado di rigenerare i nostri muscoli. La giusta alimentazione stimolerà in modo adeguato la secrezione di insulina, elemento chiave per stimolare i GLUT cellulari e fare in modo che le catene amminoacidiche possano essere sintetizzate a livello mitocondriale. In conclusione, non basta il riposo per migliorare. Si dovranno attivare strategie allenanti e alimentari adeguate a ripristinare lo stato omeostatico del corpo e trasformare ogni evento in qualcosa di produttivo per migliorare la nostra condizione e performance finale.

Corone ovali, troviamo la quadratura del cerchio


Molti sono gli argomenti che suscitano discussioni nel mondo della tecnologia applicata al ciclismo e molte sono le opinioni che di conseguenza vi gravitano intorno. Da sempre, in primis i ciclisti, poi i meccanici ed infine, solo per ordine di comparsa, i preparatori sono ossessionati dalla ricerca della performance e di tutte quelle soluzioni che permettano di aumentare le proprie capacità agonistiche. Sotto la lente di ingrandimento sono passati tutti gli elementi possibili, dagli studi medici applicati allo sport alla ricerca dei materiali sempre più leggeri alle soluzioni tecniche più ardite e controverse come le biciclette dalle geometrie estreme costruite appositamente per battere i record dal sapore antico come quello “dell’ora”.
Affronteremo oggi, senza presunzione di completezza, un argomento che ha diviso l’utenza ciclistica in due fazioni contrapposte: “Le corone ovali, sono utili o solo l’ennesima trovata di marketing?” Facciamo un po’ di storia, i primi prototipi moderni risalgono agli inizi degli anni 80 quando Shimano lancia sul mercato le BioPace. Istallate con la parte più lunga parallela alla pedivella, vennero presto accantonate e lasciarono il mercato rapidamente. La loro però non fu una missione suicida, nel loro breve transito lasciarono il seme della curiosità tanto da insinuare il dubbio nella collettività, “…ma se fossero state sviluppate e provate a dovere sarebbero state utili?” Abbiamo dovuto aspettare gli inizi del nuovo millennio quando atleti del calibro di “Sir Wiggins” prima e “Froome” poi, hanno portato questi equipaggiamenti sul palcoscenico del ciclismo mondiale a colpi di successi. Lo sviluppo, lasciato allo stato embrionale negli anni 80, è stato ripreso e portato dalla patria del sol levante al vecchio continente dalla spagnola Rotor e dalla francese O.Symetric. Si sono succeduti poi altri fornitori.
Per capire da cosa scaturisce l’interesse verso la corona ovale, dobbiamo affrontare il discorso dal punto di vista della dinamica della pedalata e della gestione delle forze applicate.
Indicazioni sulla progettazione delle corone asimmetriche arrivano già insieme ai primi studi biomeccanici sull’analisi del movimento. Inizialmente, senza l’ausilio di particolari strumentazioni elettromiografiche, analizzando l’applicazione della forza sulle pedivelle intorno all’asse, si è cercato di valutare quali fossero i gruppi muscolari coinvolti e per quali gradienti questi fossero maggiormente attivati.
È stato stimato che il gradiente maggiormente attivato è compreso tra 20° e 140° dopo il PMS (Punto Morto Superiore). Quando il concetto di potenza erogata palesata in forma di Watt ancora non esisteva, l’indirizzo dei progettisti era quello di rendere più efficiente la pedalata con lo scopo di massimizzare la forza applicata. La visione leonardesca dell’essere umano come “macchina” concepiva il mezzo bicicletta come il prolungamento degli arti, appiccando i concetti della meccanica classica senza tenere conto della componente biologica in tutti i sui aspetti.
Tecnicamente si tratta di una soluzione che contribuisce a creare, a parità di pedalate per minuto, una distribuzione non omogenea della resistenza, ovvero la soluzione ovale, nella sua concezione moderna (con le corone che presentano il maggior diametro “tiro catena” in posizione più o meno perpendicolare alla pedivella) modifica per ben due volte nei 360° dell’angolo di rotazione intorno all’asse il posizionamento della resistenza nell’arco dell’intera pedalata. Con un po’ di fisica possiamo ricondurre il movimento centrale al Fulcro, le corone al braccio di Resistenza e la pedivella al braccio di Forza di una leva di secondo grado.
Tutti abbiamo chiaro che cosa significa passare dalla corona grande a quella piccola e quale effetto abbia quest’azione nella spinta sui pedali, diamo per scontato infatti che passando dal 52 al 36 si crei una situazione di minor tensione muscolare. Ma perché ciò accade? Semplicemente perché passando alla corona più piccola abbiamo accorciato il Braccio della Resistenza e possiamo svolgere lo stesso lavoro con una Forza Motrice minore a parità di leva (lunghezza pedivelle). (fig1) Semplificando le corone ovali agiscono analogamente al cambio di rapporto, ovvero accorciano e allungano continuamente il braccio della resistenza offrendo, appunto, una resistenza differenziata a seconda delle fasce muscolari interessate in un dato momento nella pedalata.

Il concetto degli sviluppatori è abbastanza semplice, offrire maggior resistenza quando, in relazione alla posizione di spinta, sono coinvolti distretti muscolari dotati di maggior forza (fase di spinta) ed offrirne di meno quando i muscoli interessati si trovano in una posizione svantaggiosa (fasi di superamento del punto morto superiore o inferiore) (fig 2). Un’altra chiave di lettura mette in gioco la velocità angolare di pedalata la quale subisce un effetto “altalenante” derivante dal continuo susseguirsi delle fasi di maggiore e minore resistenza generata dalle corone ovali. Nelle fasi di maggior resistenza dovuta al “tiro catena” più ampio la pedalata tende a rallentare ed il ciclista esprime più forza, per poi tornare ad aumentare nelle fasi di superamento del punto morto dove grazie al minor “tiro catena” occorre una forza minore.
A nostro avviso a parità di RPM, non dovrebbe cambiare niente dal punto di vista dei consumi energetici e della potenza erogata, infatti se da un lato deve essere applicata maggior forza in fase di spinta mantenendo costante la velocità angolare, dall’altro serve meno forza per superare i punti morti sempre mantenendo la velocità angolare costante. In alternativa, sempre a parità di RPM può essere applicata la stessa forza con una velocità angolare minore in fase di spinta ed una stessa forza con una velocità angolare maggiore sui punti morti.
In definitiva per poter esprimere una maggior potenza è richiesto che a parità di forza erogata venga aumentato il numero delle RPM o al limite a parità di RPM venga erogata più forza, le corone ovali non fanno altro che generare dei picchi di forza maggiori in alcune fasi della pedalata compensati da picchi di forza ridotta in altre fasi, anche qualora il ciclista si impegnasse a mantenere costante la forza applicata sui pedali in entrambe le fasi (di spinta e di superamento del punto morto) la conseguenza non sarebbe (a parità di RPM) un aumento della potenza erogata bensì una variazione della velocità angolare nelle varie fasi. Le nostre considerazioni a riguardo delle corone ovali possono risentire dell’incompletezza dei dati disponibili o della mancanza di studi concordi nell’esprimere un giudizio favorevole o contrario al miglioramento della performance legata al loro utilizzo. In questo articolo ci siamo limitati ad analizzare la fisica del gesto della pedalata. Rimarremo ovviamente impegnati sulla ricerca di nuovi studi sul tema.

Quante volte fuori soglia?

Comprendiamo insieme il concetto di #CapacitàAnaerobica #fuorisoglia

Per quanto tempo e per quante volte puoi stare fuori soglia? Piacerebbe a tutti conoscere con ragionevole esattezza la durata o il numero degli scatti , per esempio in salita, che ciascuno di noi può effettuare in gara prima di dover ricorrere ad un recupero “forzato” .
Ebbene, sappiate che tutto questo è possibile!
Con l’estensione massiva dell’utilizzo dei misuratori di potenza siamo in grado, in ogni momento, di conoscere la propria Capacità Anaerobica . In cosa consiste, come si calcola, come si monitorizza e soprattutto come può esserci utile nell’attività agonistica e di allenamento? lo scopriremo in questo articolo.Partiamo dalla definizione dei concetti principali. Negli ultimi dieci anni sostantivi e acronimi come FTP, Soglia Anaerobica, Potenza Critica e MLSS sono entrati nel gergo comune di ogni ciclista che abbia affrontato in maniera più o meno strutturata i propri allenamenti. In estrema semplificazione i concetti e le differenti nomenclature che ruotano intorno alla FTP hanno un significato univoco, più sono alti e più è probabile che si riesca ad arrivare freschi alle fasi concitate della corsa, sfruttando prevalentemente il sistema aerobico. Da questo punto in poi entra in gioco anche un altro fattore determinante al successo, la Capacità Anaerobica che nella letteratura di riferimento troviamo con acronimi come AWC (Anaerobic Work Capacity) oppure più semplicemente come W’ (W Prime). Questa è utilizzata, in maniera netta, durante i brevi sforzi effettuati ad alta intensità della durata compresa tra i 20 ed i 120 secondi o, più in generale ed in maniera meno netta, durante tutti quegli sforzi di durata leggermente più lunga effettuati a livelli di poco superiori alla CP (potenza critica).

Il concetto di Capacità Anaerobica (W’) si lega in maniera indissolubile al concetto di Critical Power (CP) introdotto per la prima volta negli anni ’60 da Monod and Scherrer – 1965 (di cui tratteremo approfonditamente nei prossimi articoli). Per il momento, ed in estrema semplificazione, è sufficiente considerare la CP come la massima potenza alla quale un ciclista può pedalare per durate comprese tra i 25 ed i 35 minuti. Nella realtà il valore di CP viene determinato sulla base di un modello matematico che si appoggia a rilevazioni effettuate mediante un protocollo di test che si compone di almeno due prove comprese tra i 3 ed i 15 minuti. Possiamo considerare la CP come l’intensità che si pone al limite del massimo utilizzo del sistema aerobico. Identificato questo livello in termini di Watt e seguendo il modello affinato dagli studi di Skiba, P. F., Chidnok, W., Vanhatalo, A., and Jones, A. M. (2012) è possibile ricavare la quantità di lavoro in Joule che ciascun atleta ha a disposizione come Capacità Anaerobica. Nello studio è stato approntato anche un modello che prevede i tempi di “ricarica” della capacità anaerobica, che possono variare a seconda del livello di potenza a cui viene effettuato il recupero. Gli autori hanno dimostrato infatti che se da un lato la capacita’ anaerobica si riduce con sforzi intensi al di sopra della potenza critica, dall’altro essa si rigenera rispettando dei periodi di recupero pedalando al di sotto della potenza critica.

Rispolverando qualche nozione di fisica ricordiamoci che un Joule corrisponde alla potenza di un Watt espressa per un secondo (Joule =Watt x Secondi), chiarito questo possiamo asserire che pedalando ad una potenza paria a 400 Watt per 60 secondi il lavoro può essere quantificato in 24 Kj (ovvero 24000 Joule : 1000). Questa precisazione ci tornerà utile nell’illustrare le principali evidenze degli studi di Skiba, riassumibili come segue:

  1. La quantità assoluta di lavoro in termini di Kj (definita come W’) che abbiamo a disposizione per pedalare al di sopra della potenza critica è piuttosto esigua, statisticamente si attesta in un range compreso tra i 15 Kj ed i 30 Kj.
  2. Il consumo della W’ inizia non appena si supera la Potenza Critica.
  3. I tempi di ricostituzione delle riserve di W’, nel modello di Skiba, variano tra i 6 ed i 10-15 minuti a seconda dell’intensità del recupero, dopodiché l’organismo è pronto per eseguire un’ulteriore sforzo al di sopra di CP.

Ma queste informazioni come possono esse utili nei nostri allenamenti quotidiani ?

  • In primo luogo, per ottimizzare i target degli esercizi specifici. Ad esempio se il nostro obiettivo fosse quello di allenare la resistenza anaerobica dovremmo tenerne conto nella strutturazione di esercizi mirati al massimo azzeramento della W’, non sarebbe utile tantomeno fattibile, sostenere esercizi la cui intensità fosse eccedente lo scarico completo della capacità anaerobica. A titolo di esempio, un esercizio effettuato secondo il protocollo TABATA porta a valori di W’ vicini allo zero, rendendo inutile un eventuale prolungamento dell’esercizio stesso. Allo stesso modo se l’obiettivo dell’allenamento fosse di massimizzare lo stimolo della capacità anaerobica, con ad esempio degli esercizi della durata di compresa tra 60 e 120 secondi, sarebbe opportuno massimizzare anche il recupero in modo da poter “ricaricare” le riserve di W’ prima di eseguire nuovamente l’esercizio rispettando i target di potenza prescritti.
  • In seconda battuta queste informazioni sono utilizzate dai coach nell’analisi dell’evento agonistico per valutare l’atleta in relazione all’andamento della gara e dei diretti avversari nell’esame post gara, tramite software in grado di tracciare l’andamento e l’utilizzo delle riserve di W’. Questo tipo di analisi risulta utile per individuare a posteriori il comportamento dell’atleta in gara e identificare eventuali fasi di attacco effettuate (o anche subite) che hanno portato successivamente alla necessità di recupero o peggio a perdere le ruote degli avversari di riferimento nelle fasi salienti della corsa .

Infine queste informazioni sono ad oggi a portata di mano di ogni uno di noi e controllabili in tempo reale sui computer da bici. Garmin ad esempio mette a disposizione, tramite la piattaforma Connct IQ, la possibilità di scaricare ed installare software di terze parti su alcuni dei suoi modelli, (l’argomento sarà trattato nei prossimi articoli) rendendo possibile la visualizzazione in tempo reale dell’andamento della prestazione per capire quando si è pronti per un altro attacco… MAGARI, QUELLO VINCENTE!

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Siamo in onda…

Bene, ci siamo…
Qui narriamo la storia di una nuova avventura, di un progetto nato dal caso e dall’ambizione. Più ci sforziamo di tenere sotto controllo la nostra vita più questa ci sorprende con la casualità, con l’incontro fortuito… inaspettato…

Qui però si parla di ciclismo, di quello amatoriale, di quello competitivo fatto dalla gente per la gente.

Chi pratica questo sport ha la coscienza di vivere parte della propria vita in un altro pianeta, un pianeta che ruota attorno ad un movimento centrale e un paio di mozzi…

Parlavamo prima di casualità e probabilmente i pochi lettori che sono arrivati a questo punto si stanno chiedendo: ma questo, che problemi ha?
La casualità è stata la chiave della nascita di Power Lab.

Due ragazzi separati all’anagrafe si trovano sull’asfalto di un velodromo cercando di togliersi di ruota il generale inverno. Le prime parole, i primi scambi di opinione e la consapevolezza, ancora non nota, che avrebbero fatto qualcosa nel mondo del ciclismo.
Ormai troppo “grandi” per diventare corridori si dedicano anima e corpo per cercare di capire cosa ci sta dietro una tabella. Studiano, sperimentano per anni su loro stessi e cercano di migliorare. Si specializzano, sostengono esami e finalmente si sentono pronti a condividere le loro conoscenze con gli altri.


L’attendibilità delle fonti, la scientificità dei metodi, la voglia di imparare dai migliori sono solo alcune delle cose che ci qualificano. Non parliamo di fenomeni e non crediamo nei fenomeni ma crediamo che l’impegno, la costanza, la voglia e la dedizione possano far migliorare tutti.
Bene questo è PowerLab, laboratorio di genti e passioni a servizio del ciclismo.

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