L’importanza del Pacing nell’HIIT: Massimizzare i Benefici e Migliorare le Prestazioni

L’allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) è diventato un metodo di allenamento popolare tra i ciclisti e gli appassionati di altri sport, grazie alla sua efficacia nel migliorare la forma fisica in tempi brevi. Tuttavia, come evidenziato dallo studio “Pacing, the missing piece of the puzzle to high-intensity interval training” di Zadow ET al. (2015), pubblicato sull’International Journal of Sports Medicine, un fattore spesso trascurato nell’HIIT è il pacing, ovvero la gestione del proprio ritmo durante l’allenamento.

Perché il Pacing è Importante nell’HIIT?

L’HIIT si basa su ripetute sessioni di esercizio ad alta intensità alternate a periodi di recupero. La chiave per ottenere i massimi benefici da questo tipo di allenamento sta nel mantenere un’intensità ottimale durante le fasi di lavoro. Se l’intensità è troppo alta, si rischia di esaurirsi prematuramente e non completare l’allenamento. Al contrario, se l’intensità è troppo bassa, non si attivano i meccanismi fisiologici che portano ai miglioramenti desiderati.

Come Gestire il Pacing nell’HIIT per Ciclisti?

Per ottimizzare il pacing nell’HIIT per ciclisti, è importante considerare diversi fattori:

  • Durata degli intervalli: La durata degli intervalli ad alta intensità influenza l’intensità sostenibile. Intervalli più brevi permettono di mantenere un’intensità più elevata, mentre intervalli più lunghi richiedono un’intensità moderata.
  • Tipo di esercizio: Il tipo di esercizio scelto per gli intervalli ad alta intensità influenza la percezione dello sforzo. Esercizi come lo sprint su salite o lo sforzo massimale su ergometro richiedono un impegno maggiore rispetto a esercizi come la pedalata a ritmo sostenuto.
  • Monitoraggio dello sforzo: Utilizzare un cardiofrequenzimetro o un misuratore di potenza può aiutare a monitorare lo sforzo e assicurarsi di mantenere un’intensità ottimale durante gli intervalli ad alta intensità.

Consigli per Ciclisti:

  • Iniziare con sessioni di HIIT brevi e di bassa intensità, aumentando gradualmente la durata e l’intensità man mano che la forma fisica migliora.
  • Ascoltare il proprio corpo e regolare l’intensità in base alle proprie sensazioni oltre che agli strumenti di misurazione (powermeter e/o cardiofrequenzimetro).
  • Variare il tipo di esercizi utilizzati per gli intervalli ad alta intensità per mantenere l’allenamento interessante e stimolante.
  • Utilizzare un cardiofrequenzimetro o un misuratore di potenza per monitorare lo sforzo e assicurarsi di mantenere un’intensità ottimale, ovvero la piu alta intensità possibile in relazione alla durata dell’intervallo considerando il numero di intervalli previsti.

Conclusione

Il pacing è un elemento fondamentale nell’HIIT per ciclisti e atleti di altri sport. Prestare attenzione a questo fattore durante l’allenamento può massimizzare i benefici dell’HIIT e migliorare le prestazioni in modo significativo. Con un approccio graduale e consapevole è possibile sfruttare al meglio l’HIIT per raggiungere i propri obiettivi di fitness.

Cit:

Zadow ET al. (2015). Pacing, the missing piece of the puzzle to high-intensity interval training. International Journal of Sports Medicine, 36(4), 313-319.

Dominate Endurance: Unlock Your Cycling Potential with Zone 2 Training

Sblocca la Resistenza: Allenamento Zona 2 per Ciclisti Pro

Il ciclismo è uno sport che richiede un’alta resistenza aerobica. La capacità di mantenere una determinata intensità per lungo tempo è fondamentale per raggiungere obiettivi di buon livello, sia che tu sia un ciclista amatoriale o professionista. Un modo per migliorare questa resistenza in tale ottica è l’allenamento in zona 2, essenziale per migliorare la resistenza aerobica e aumentare il consumo dei grassi.

Ma in cosa consiste? In generale, l’allenamento cardiovascolare viene suddiviso in diverse zone di intensità, in base alla frequenza cardiaca. La zona 2 è quella in cui la frequenza cardiaca si trova tra il 70% e l’85% della frequenza cardiaca massimale ed ovviamente in Powerlab facciamo riferimento anche alle “zone di potenza” oltre che cardiache. In questa zona, il corpo utilizza principalmente i grassi come fonte di energia, piuttosto che i carboidrati. Ciò significa che l’allenamento in zona 2 è ideale per migliorare la resistenza aerobica e aumentare il consumo dei grassi.

Per i ciclisti, l’allenamento in zona 2 è particolarmente importante perché si adatta perfettamente al tipo di sforzo richiesto durante una gara o un’escursione lunga. In una gara, infatti, si pedala a un ritmo costante per molte ore, e l’allenamento in zona 2 consente di abituare il corpo a utilizzare i grassi come fonte di energia, in modo da risparmiare le riserve di carboidrati.

Inoltre, l’allenamento in zona 2 è efficace per migliorare la resistenza aerobica, poiché consente di mantenere un’intensità moderata per lungo tempo. Ciò significa che sarai in grado di pedalare a un ritmo più elevato per un periodo di tempo più lungo, senza sentirti troppo stanco.

Per ottenere il massimo dall’allenamento in zona 2, è importante utilizzare un cardiofrequenzimetro o un powermeter per assicurarsi di rimanere nella giusta zona di intensità. In generale, si consiglia di dedicare almeno il 50% del proprio allenamento in zona 2, ma ovviamente molto dipende dal tempo totale che il ciclista riesce a dedicare all’allenamento.

In conclusione, l’allenamento in zona 2 è una parte essenziale della preparazione che permette di migliorare la resistenza aerobica, aumentare il consumo dei grassi e preparare il corpo per gli sforzi prolungati richiesti durante le gare o le escursioni lunghe e sulla cui base si appoggiano esercizi a più alta intensità che fungono da compendio ai vari cicli di preparazione annuale.

Ci sono numerosi studi che hanno dimostrato che l’esercizio aerobico a un’intensità moderata (come quella della zona 2) è efficace nel migliorare la resistenza aerobica e aumentare la capacità del corpo di utilizzare i grassi come fonte di energia.

Uno studio del 2001 pubblicato su “Medicine and Science in Sports and Exercise” ha dimostrato che l’esercizio aerobico a intensità moderata è più efficace rispetto all’esercizio ad alta intensità per aumentare la capacità del corpo di utilizzare i grassi durante l’esercizio.

Uno studio del 2010 pubblicato su “Journal of Applied Physiology” ha dimostrato che l’esercizio aerobico a intensità moderata migliora significativamente la capacità del corpo di utilizzare i grassi come fonte di energia durante l’esercizio prolungato rispetto all’esercizio ad alta intensità.

Inoltre, uno studio del 2016 pubblicato su “Sports Medicine” ha esaminato gli effetti dell’allenamento ad alta intensità intervallato (HIIT) rispetto all’allenamento a intensità moderata costante (MICT) sulla composizione corporea e la capacità di utilizzare i grassi come fonte di energia durante l’esercizio. Gli autori hanno concluso che l’allenamento MICT è più efficace per migliorare la capacità del corpo di utilizzare i grassi come fonte di energia durante l’esercizio rispetto all’HIIT.

In sintesi, ci sono molteplici studi che supportano l’efficacia dell’allenamento aerobico a un’intensità moderata, come quella della zona 2, per migliorare la resistenza aerobica e aumentare la capacità del corpo di utilizzare i grassi come fonte di energia.

Riferimenti:

Kiens, B., & Richter, E. A. (2001). Effect of intensity of physical activity on body fatness and fat distribution. Medicine and Science in Sports and Exercise, 33(10), 1632-1638.

Autori: S. D. Jensen, E. A. Richter, P. Kiens, B. Kiens, J. W. Helge. “Effect of exercise intensity on 24-h energy expenditure and substrate oxidation” pubblicato su Medicine and Science in Sports and Exercise nel 2001.

Niels Vollaard, Niels B. Jørgensen, Daniel A. West, Bent R. Rønnestad, Jørgen Jensen: “Comparison of High-Intensity Interval Training and Moderate-Intensity Continuous Training on Cardiometabolic Health: A Systematic Review and Meta-Analysis”. “Sports Medicine”

“TABATA: il segreto per prestazioni ciclistiche migliori”

In questo articolo, introdurremo il metodo TABATA, un tipo di allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) ultimamente popolare anche tra i ciclisti che vogliono migliorare la loro resistenza e potenza. Discuteremo i benefici del TABATA e della tecnica corretta per eseguire gli intervalli.

Il protocollo Tabata è un metodo ideato negli anni ’90 dall’omonimo scienziato giapponese, si tratta di una forma di allenamento ad intervalli ad alta intensità (HIIT) che consiste in brevi periodi di esercizio ad alta intensità seguiti da periodi di recupero attivo. È particolarmente efficace per migliorare la resistenza e la potenza, rendendolo perfetto per gli appassionati di ciclismo che cercano di migliorare la loro forma fisica in modo efficiente., pur non disponendo di moltissimo tempo a disposizione.

Uno dei vantaggi del metodo è la sua versatilità, poiché può essere adattato per soddisfare le esigenze specifiche dei ciclisti semplicemente inserendo una breve sessione, appositamente dedicata, nelle sessioni settimanali. In questo articolo, esploreremo i migliori esercizi TABATA (che possono essere eseguiti tanto sulla nostre amate bici che “a secco” in palestra, e come integrarli nella routine di allenamento per ottenere i massimi benefici.

  1. Brevi sessioni ad alta intensità: l’esercizio TABATA più idoneo per i ciclisti è il “fartlek TABATA” dove si pedala ad un’intensità molto elevata per 20 secondi seguiti da 10 secondi di recupero attivo a una velocità più lenta. Questo ciclo si ripete per 8 volte per un totale di 4 minuti di allenamento ad alta intensità. Alla fine della sessione la sensazione è di “sfinimento” se eseguita correttamente dovrebbe essere difficile se non impossibile eseguire un’altra accelerazione. Dopo adeguato recupero in genere vengono eseguite altre due sessioni identiche.
  2. Esercizi di forza per le gambe: gli esercizi di forza per le gambe, come gli affondi o gli affondi laterali, possono essere adattati per essere eseguiti come esercizi TABATA. Per esempio, eseguire affondi per 20 secondi seguiti da 10 secondi di recupero attivo e ripetere questo ciclo per 8 volte per un totale di 4 minuti di allenamento di forza.
  3. Allenamenti sui rulli: gli allenamenti sui rulli possono essere facilmente adattati per essere eseguiti come esercizi TABATA proprio per la generale breve durata delle sessioni di allenamento. Lo stesso protocollo descritto al punto precedente relativo al TABATA “outdoor” è trasferibile sui rulli.

Per ottenere i massimi benefici dal metodo TABATA, è importante eseguire gli esercizi ad alta intensità con la massima intensità possibile durante i periodi di lavoro e recuperare attivamente durante i periodi di riposo. Inoltre, gli esercizi TABATA possono essere integrati nella routine di allenamento settimanale insieme ad altre forme di allenamento.

Lo studio condotto nel 1996 dal Dr. Izumi Tabata e dai suoi colleghi dell’Istituto di Scienza dello Sport e dell’Esercizio di Tokyo ha mostrato che il metodo TABATA è efficace tanto per migliorare la resistenza aerobica che la potenza anaerobica.

Un altro studio del 2010 ha confrontato gli effetti del metodo TABATA con quelli di un allenamento continuo a moderata intensità sulla composizione corporea e sulla resistenza aerobica. I risultati hanno mostrato che il metodo è stato più efficace nel migliorare la composizione corporea e la resistenza aerobica rispetto all’allenamento continuo a moderata intensità.

Uno studio del 2012 ha esaminato gli effetti del metodo TABATA sulla funzione endoteliale in soggetti sedentari. I risultati hanno mostrato che il metodo è stato in grado di migliorare la funzione endoteliale, il che indica una maggiore salute cardiovascolare.

In generale, sono oramai molti gli studi che hanno dimostrato che il metodo è un’efficace forma di allenamento per migliorare la resistenza aerobica, la potenza anaerobica, la composizione corporea e la funzione endoteliale.

Riferimenti agli studi citati:

  1. Tabata I, Nishimura K, Kouzaki M, Hirai Y, Ogita F, Miyachi M, Yamamoto K. (1996) “Effects of moderate-intensity endurance and high-intensity intermittent training on anaerobic capacity and VO2max.” Med Sci Sports Exerc. 28(10):1327-30.
  2. Gillen JB, Gibala MJ. (2010) “Interval training in the fed or fasted state improves body composition and muscle oxidative capacity in overweight women.” Obesity (Silver Spring). 18(1):19-25.
  3. Tjønna AE, Lee SJ, Rognmo Ø, Stølen TO, Bye A, Haram PM, Loennechen JP, Al-Share QY, Skaug EA, Wisløff U. (2012) “Aerobic interval training versus continuous moderate exercise as a treatment for the metabolic syndrome: a pilot study.” Circulation. 126(10):1083-90.

La struttura di un piano di allenamento

La regola delle “Tre P”

L’inverno è iniziato, la stagione agonistica è, per i più, ormai alle spalle, il periodo delle pedalate fatte senza vincoli di potenza e frequenza cardiaca è nel pieno dello svolgimento ed inizia a farsi avanti nella mente dell’atleta l’idea della nuova stagione. Come strutturare la prossima stagione? Cosa cambiare rispetto alla stagione appena conclusa? Quali saranno gli obiettivi da mettere in calendario e in che modo sarà possibile raggiungerli? Per rispondere a queste domande sarà naturale basare l’organizzazione futura su qualcosa di solido, ordinato, razionale e fondato su basi scientifiche… un piano di allenamento!

Per comprendere quanto sia importante disporre di un piano di allenamento dobbiamo capirne la struttura, conoscerne le terminologie utilizzate ed infine comprenderne l’uso pratico. Programmazione, Pianificazione e Periodizzazione sono le “Tre P” che ci accompagneranno in questa breve panoramica e stanno alla base della struttura portante di un piano di allenamento.

Dopo aver definito l’obbiettivo il primo passo da fare per il suo raggiungimento è PROGRAMMARE, in questa fase occorre descrivere in modo ordinato, chiaro e dettagliato (meglio su carta) ciò che si vuole e si deve fare per raggiungerlo. Successivamente occorre PIANIFICARE o meglio definire i mezzi, i ruoli i tempi e le scadenze necessari a raggiungere l’obbiettivo definito in precedenza. Per ultimo (non certo per importanza) come diretta conseguenza della pianificazione sarà necessario PERIODIZZARE, dividere cioè l’intera preparazione in periodi. In questa fase si intende scomporre il piano di allenamento in veri e propri step la cui durata deve essere funzionale al raggiungimento di obiettivi intermedi incentrati al miglioramento di specifiche qualità atletiche o tecniche.

PROGRAMMARE

Sulla base strettamente personale e dell’obbiettivo prefissato dovranno essere definiti i seguenti aspetti:

  • Definizione del carico allenante
  • Frequenza del carico allenante
  • Metodologia di allenamento e mezzi a disposizione
  • Intensità del carico allenante
  • Volume del carico allenante
  • Specificità del carico allenante
  • Metriche di controllo e verifica.

PIANIFICARE

Sulla base delle scadenze imposte dall’obbiettivo e delle capacità atletiche e tecniche che devono essere allenate risulta necessario definire:

  • Gli obbiettivi secondari ed i livelli di accettabilità
  • La durata del piano di allenamento
  • Le date di esecuzione dei test in relazione agli obiettivi intermedi (ad es. il raggiungimento di una adeguata base aerobica quantificabile mediante il test del Disaccoppiamento Aerobico) ed all’obiettivo finale (ad esempio data dell’evento principale, o periodo in cui si vuol raggiungere il picco di forma).

PERIODIZZARE

Tecnicamente rappresenta la suddivisione del tempo in periodi, deriva dal greco “περίοδος” che significa ciclo. La vita atletica di un soggetto, infatti si compone di cicli più o meno lunghi che vanno dall’osservazione temporale massima (ad es. i 10-15 anni tipici di una normale “Carriera Sportiva”), ai “Quadrienni” tipici di una pianificazione in ottica Olimpica fino ai “Bienni” utili per massimizzare l’aspetto tecnico della formazione, utilizzati nella preparazione giovanile. Continuando a scendere nel dettaglio è indispensabile frazionare periodi in unita sempre più piccole fino ad arrivare alla singola unità giornaliera di allenamento. Si procederà cosi alla realizzazione della periodizzazione annuale o stagionale.

PERIODIZZAZIONE STAGIONALE

Dalla definizione dell’obbiettivo avremo chiaro quando cadrà nel nostro calendario l’evento principe della stagione e allo stesso modo conosceremo in maniera precisa a quali periodi dell’anno corrisponderanno i picchi di forma attesi.

Avere un solo obbiettivo stagionale rende la periodizzazione monociclica e si lavorerà per il raggiungimento di un solo picco di forma stagionale, mentre se fissiamo due o più eventi importanti ci dovremo focalizzare su una periodizzazione multi-ciclica ovvero con più picchi di forma all’interno della medesima stagione agonistica. Nella bibliografia scientifica sono molteplici i testi che trattano questa argomentazione, uno di essi, ritenuto autorevole da molti addetti ai lavori è “Periodizzazione dell’allenamento sportivo” di Tudor Bompa al quale anche noi facciamo riferimento.

Bompa struttura la stagione definendo un Piano Annuale suddividendolo in Macrocicli che sono ulteriormente scomposti a loro volta in Microcicli e Unità di allenamento (Macrocicli caratterizzati da specifici obbiettivi allenanti della durata di 2-6 settimane a loro volta composti da Microcicli della durata di circa 7 giorni, composti dalle singole unità allenanti giornaliere).

All’interno del piano annuale i macrocicli possono essere raggruppati in tre Fasi: Preparatoria, Agonistica e Transitoria, che si posizioneranno in modo consequenziale, e a volte ciclico, in base agli eventi prefissati.

PERCHE’ UN PIANO?

Il fatto di poter contare su una pianificazione ben strutturata ed ordinata, volta a massimizzare tempi e carichi di lavoro in funzione di obbiettivi intermedi e finali rende l’atleta più efficiente nella dedizione del proprio tempo all’allenamento e più efficace nel raggiungimento degli obbiettivi. Una strategia strutturata e razionale, permette all’atleta di avere coscienza del proprio rendimento, comprenderne lacune e capacità e gestire in modo ottimale il tempo e lo stress in funzione del raggiungimento del picco di forma.

Secondo T. Bompa il picco di forma si definisce così:

Il “picco di forma” rappresenta la sintesi, al massimo livello, delle potenzialità motorie, energetiche, tecniche e psicologiche che un atleta può raggiungere in base al proprio livello di partenza.

T. Bompa

Conoscere i principi, apprezzarne i contenuti rendono l’atleta consapevole e maggiormente predisposto nell’affrontare gli sforzi e gli eventi.

Nuova stagione agonistica, uguale nuovi obbiettivi.

Impariamo a definire gli obbiettivi e renderli realmente utili per una corretta periodizzazione.


Lentamente ci stiamo lasciando alle spalle un lungo periodo molto complicato che ha modificato il nostro modo di essere e di relazionarci con la società. Un periodo di restrizioni, per molti di isolamento e paura. Cosa ci ha permesso di sopravvivere a tutto ciò? Quali meccanismi mentali abbiamo utilizzato per difenderci da queste situazioni spiacevoli? Certamente non abbiamo la presunzione di saper rispondere a questi quesiti in termini sociologici tuttavia, da sportivi e atleti di endurance, sappiamo quanto possa essere potente la nostra mente. Esatto, la mente ed i nostri percorsi mentali ci permettono di gestire situazioni più o meno sfavorevoli, mettendo in atto le strategie più adeguate per non soccombere.

Affrontare un evento o una serie di eventi agonistici, per la mente dell’atleta, può rappresentare un vero e proprio campo d’armi e se non vengono utilizzate le giuste soluzioni, questa può soccombere sotto il peso dello stress che la preparazione o l’attesa dell’evento stesso generano. Il cammino per il raggiungimento della giusta condizione psicofisica sarà personale e difficilmente quantificabile soprattutto per l’aspetto psicologico. L’attitudine alla gara e la gestione dello stress nei giorni antecedenti all’evento sono aspetti che necessitano di preparazione così come il fisico necessita di un allenamento costante e gestito.

La chiave per mantenere viva la fiamma della passione agonistica e raggiungere un adeguato equilibrio fisico e mentale passa per molti aspetti, cerchiamo di definire la forma mentis dell’atleta e quali punti non dovrebbe mai dimenticare prima di accedere ad un percorso di preparazione e formazione agonistica. Diventa fondamentale tanto per il principiante quanto per l’atleta navigato definire con cura gli obbiettivi.

Definizione degli obbiettivi

  1. Stabilisci obbiettivi realizzabili: pur ambiziosi che essi possano apparire dovranno essere necessariamente e potenzialmente realizzabili. Devono sussistere, da parte dell’atleta, tutti i requisiti affiche si possa realmente, al netto di imprevisti, raggiungere quanto prefissato. Sarà fondamentale definire il tempo utile e spendibile al raggiungimento, evitando sprechi ed inefficienze, per non incappare in fastidiosi loop mentali che ci fanno dubitare del lavoro svolto in termini di quantità e qualità. Sarà la disciplina e l’attitudine nel seguire il metodo a fugare ogni forma di dubbio.
  2. Stabilisci gli obbiettivi secondari: fa parte della formazione mentale dell’atleta accettare che potrebbe non essere possibile raggiungere l’obbiettivo primario se pur apparente,ente realizzabile in fase di progettazione. Fissa degli obbiettivi “secondari” da raggiungere durante la nuova stagione che rappresenteranno una sequenza di step di avvicinamento all’ obbiettivo principale. Saranno utili per mantenere entusiasmo anche nei periodi di stanchezza.
  3. Stabilisci i livelli: dopo aver definito l’obbiettivo, definirai il percorso da affrontare. Stabilisci dei livelli di accettabilità in base alla metrica che utilizzi per definire il successo di un allenamento, così da poter mantenere un rapporto sano nei confronti dell’allenamento e dello stile di vita che esso comporta. Non sempre saremo in grado di raggiungere il 100% indicato dalla sessione, sarà perciò importate definire fino a che percentuale possiamo rendere la sessione accettabile.
  4. Analizzati con obbiettività: tieni un diario delle tue attività, valutati con onestà nei confronti dell’obbiettivo che ha definito e non perdere di vista il quadro d’insieme. Non trascurare gli affetti, il lavoro e tutte le altre cose possono contribuire alla tua serenità mentale, dedica al tuo obbiettivo sportivo fissato il tempo necessario.
  5. Ricorda perché lo fai: più aumenta l’esperienza in certo ambito è più diventa necessario il “perché” stiamo perseguendo un obbiettivo. Intendiamoci, non esiste un perché buono o uno cattivo, ogni atleta definisce il suo personale “perché” che sta alla base della motivazione che spinge a dare sempre il massimo.

Non concentriamoci sul successo, esso non è l’obbiettivo ma la naturale conseguenza del seguimento di un processo interiorizzato e messo in atto con costanza e dedizione.

Ai nostri atleti, la flamme rouge è in vista.


Cari tutti, il periodo che abbiamo trascorso e ahimè stiamo ancora trascorrendo rimarrà indelebile così nella storia come nei nostri cuori. Abbiamo trepidato ogni venerdì sera in attesa delle decisioni che avrebbero poi condizionato il nostro modo di vivere, scelte dure, ma necessarie a garantire la salute nostra e dei nostri cari. Come sportivi, probabilmente, abbiamo vissuto questa situazione con un aggravio maggiore visto che abbiamo dovuto rinunciare a fare ciò che amiamo: pedalare liberi e spensierati sulle nostre amate strade.
Ma, come ogni uomo e donna di sport abbiamo ricevuto in dono la capacità e la caparbietà di perseguire un obiettivo cercando di trasformare problemi in opportunità. Abbiamo deciso di incanalare l’energia negativa di questi momenti in qualcosa che ci ha permesso di evolvere e di migliore, non solo come sportivi.

Vorremmo ringraziarvi per la fiducia che avete riposto in noi anche in questo periodo ma soprattutto dovreste ringraziare voi stessi per l’impegno che avete dedicato al nostro sport e per aver scoperto in voi quella forza d’animo che vi ha permesso di continuare ad allenarvi, in situazioni non ottimali, con un calendario agonistico incerto cercando di perseguire comunque degli obiettivi.

La fine di questo buio tunnel si inizia ad intravedere, una data risuona nella nostra testa: 4 maggio 2020. Non sarà un liberi-tutti, non sarà un colpo di spugna che cancellerà tutto quello che abbiamo vissuto, purtroppo ogni uno porterà con se i segni di questa vicenda, per primi coloro che hanno dovuto affrontare la malattia, coloro che hanno perso un caro amico o un familiare, altri saranno segnati dai risvolti economici e sociali; si prospetta per tutti un nuovo inizio, come uomini, donne e come ciclisti.

Potremo nuovamente godere della bellezza del nostro territorio con occhi nuovi insieme alla nostra amata bici. Viaggeremo in lungo e in largo senza preoccuparci di valori e tabelle, per alcuni poi verrà il momento di ri-iniziare a pensare a quello che ci ha spinto a continuare a lavorare duro chiusi nel buio dei nostri garage.

Torneremo, non sappiamo quando ma torneremo ad appuntare il numero sulla nostra schiena. Torneranno ansia e batticuore che si provano solo in griglia di partenza. Dovremo farci trovare pronti a quel momento perché piacerà a tutti dire: “Sì, ce l’abbiamo fatta”, dire che abbiamo sconfitto questa situazione sentendo le gambe ed il cuore pieni di forza e gioa per affrontare la gara che ci attende.

Nel corso di queste settimane siamo rimasti al vostro fianco e continueremo a farlo anche con la “ripartenza”, condivideremo con voi la nostra filosofia, lavoreremo insieme per affrontare il prossimo obiettivo. Ci sarà da lavorare per rimodulare i vostri piani di allenamento in base alla vostra attuale forma ed ai nuovi obiettivi… Noi ci saremo!

Indoor, attenzione al burnout

INTRODUZIONE

in questo periodo di allenamanti forzati sui rulli ho colto l’ocasione per approfondire alcuni aspetti dell’allenamento indoor. Molto spesso sentiamo dire che “troppi rulli fanno male” oppure “sui rulli ci si finisce”. Partendo da queste affermazioni ho deciso di prendere spunto per avviare una mia personalissima “ricerca”. Con un piano di allenamento strutturato, personalizzato sulle capacità dell’atleta e con le soglie di allenmanto adeguate, se si è in grado di gestire il carico allenante, in teoria è difficile cadere nel sovrallenamanto, ma in una realtà come quella odierna, rimodulare il carico solo per la quantità somministrata per l’esecuzione indoor è sufficiente per evitare il bournout?

In linea di principio se il carico vienisse rimodulato in modo corretto non dovrebbero esservi problemi di overtraining, ma di fatto il costo atletico/fisiologico, a precidere dal lavoro eseguito (in Kj), nell’allenamento indoor può essere maggiore.

TESI

Basandomi su questa ipotesi, ho cercato di focalizzare l’attenzione su cosa possa aumentare il costo ateltico della sessione indoor rispetto a quella tradizionale.  Ho realizzato un micro protocollo di verifica, che prevede i seguenti parametri:

Durata della misura: 20’

Intensità: 75% della FTP

Variabile in analisi: FC media nei 20’

Ho definito le condizioni ambietali, stanza di 16 mq senza circolazione naturale di aria termo regolata con condizionatore; temperatura di esecuzione dei test 14±4 °C, umidità relativa 33±6 %.

PROTOCOLLO

Al termine di un blando riscaldamanto eseguito a cadenza ottimale ad una intensità pari al 60-65% della FTP inizia le sassione di controllo. 20’ a cadenza ottimale al 75% della FTP.

Le rilevazioni sono state eseguite nel corso di tre sessioni di test, eseguit in giorni separati, nelle seguenti condizioni:

TEST 1 – Nessuna ventilazione attiva

TEST 2 – Ventilazione blanda indirizzata sul busto e testa

TEST 3 – Ventilazione corposa, capace di avvolgere l’intera figura del ciclista.

I tre test sono stati eseguiti al mattino alle ore 10 circa, dopo una stessa colazione “standard” consumata 2h e 30’ prima del test, con una media di 6,5 h di sonno per ogni notte precedente.

Dati sperimentali

        

*Eseguito su pista          

CALCOLI E CONCLUSIONI

Correlando Temperatura ambientale, BPM medi per ogni sessione e tipologia di ventilazione possiamo notare una correlazione diretta tra quest’ultima e la frequanza cardiaca media. Il lavoro medio eseguito oscilla ±2% tra tutti test registrati mentre tra il TEST su pista e quello indoor senza ventilazione a parità di lavoro eseguito si ottine un +9% di frequanza cardiaca media.

Alla luce di quest’ultimo dato, sicuramante privo di una base statistica adeguata, possiamo però dedurre che per lunghi periodi di allenamento svolto su rullo, come in questo particolare momento, quel 9% in più di costo fisiologico per ogni sessione di allenamento potrebbe essere fonte di sovrallenamento se monitorassimo i nostri atleti solo tramite il lavoro meccanico eseguito.

Inoltre si evince che allestire un ambiente idoneo agli allenameti indoor è fondamentale per salvaguardare la nostra salute e poter eseguire i lavori specifici negli intervalli di zona cardiaca di riferimento adeguati oltre a quelli calcolati sulla potenza.

        

Microciclo, quando i dettagli possono fare la differenza


Introduzione

Torniamo a parlare di allenamento. Nei precedenti articoli abbiamo a volte tralasciato questo argomento per dare la precedenza ad altri aspetti, sempre ad esso correlati, ma spesso relativi a strumenti o conseguenze dello stesso.

Paliamo talvolta di programmi, tabelle e schemi come fossero medicinali che vengono prescritti ad uno pseudo malato costretto a curare la propria malattia di miglioramento. Allenarsi significa evolvere l’intero “sistema uomo” da essere umano “normale” ad atleta. È un processo complesso che spesso parte dall’età infantile dove vengono appresi i principali schemi motori e si fondano le basi di una mente capace di gestire gli stimoli futuri.

Un programma di allenamento, dunque, è molto di più di un semplice “puzzle” di allenamenti, giorni di carico-scarico e gare, bensì per essere recepito a pieno, deve coinvolgere corpo e mente. Il corpo recepisce e subisce, tramite lo schema “dell’attacco/difesa” degli importanti stimoli. La risposta che quest’ultimo può dare sarà di tipo ormonale a vari livelli con attivazione di tutte le sovrastrutture necessarie all’adattamento agli stimoli ricevuti. Il rilascio ormonale influenza una moltitudine di apparati, modificando persino lo stato d’animo e l’umore di una persona. Tutto questo per indicare che la struttura di un piano di allenamento è un argomento complesso, che richiede conoscenze multidisciplinari e con fondamenti scientifici solidi. Partendo dalle basi, visioneremo la struttura accademica di un microciclo.


Storia

Germania, 1932, iniziano i preparativi per i giochi olimpici e con questi nasce una nuova filosofia nell’approcciare la preparazione ad un grande evento. Una visione ampia e a lungo termine prevede un ciclo della durata complessiva di circa 4 anni suddiviso in sottocategorie di 1 anno. Ogni singolo ciclo annuale prevede, secondo la concezione tedesca, una suddivisione in macrocicli e microcicli. I macrocicli costituiti di un minimo di 2 ad un massimo di 7 settimane sono suddivisi in microcicli composti da blocchi di 3 – 7 giorni. È possibile qualificare i microcicli in 5 varianti: sviluppo, shock, rigenerazione, competizione e tapering.

Microciclo

Parola composita che prende origine dalla parola greca Micros “Piccolo” e dalla parola latina Cycles ”Cicli” che identifica una sequenza regolare di eventi che tendono a ripetersi nel tempo. Solitamente un Microciclo si compone di 3 o 7 unità allenanti ma possiamo arrivare a contarne anche 9. Temporalmente il Microciclo, per facilitarne la comprensione, corrisponde al periodo di una settimana. Il Microciclo è lo strumento di pianificazione funzionale più importante nel processo di allenamento e la sua struttura e il contenuto determinano la qualità del processo di allenamento. Il Microciclo si struttura in base agli obiettivi, al volume desiderato e disponibile, all’intensità e ai metodi che sono al centro della fase di allenamento. Importante variare gli stimoli all’interno del Microciclo in quanto le richieste psicologiche e fisiche non possono essere costanti, al fine di non generare fenomeni di burnout e di over-training. Dovrà avere una struttura flessibile capace di modificarsi ed adattarsi alle necessita momentanee dell’atleta, alle sue capacità di sostenere i volumi di lavoro e di recupero così come al piano delle gare. Le modifiche che verranno apportate ad un Microciclo in corso avranno delle conseguenze anche sui successivi, pertanto sarà importante adattarli in modo tale da non pregiudicare il raggiungimento dell’obbiettivo a medio lungo termine.

Costruzione e struttura di un Microciclo

Da quanto illustrato pocanzi sappiamo che gli stimoli all’interno del Microciclo dovranno seguire un’alternanza e una complementarità tra le singole unità di allenamento. Troviamo traccia di una schematizzazione tipo all’interno del manoscritto greco, il “Ginnastico” del filosofo Lucio Flavio Filostrato che descrive le gare olimpiche, gli atleti e le loro capacità ma fa menzione anche alle metodologie utili a ad accrescere e mantenere tali capacità. Proprio su questo gettiamo la nostra attenzione, il filosofo ci ha lasciato la traccia di un primordiale Microciclo denominato “Tetra” dal greco Quattro, come quattro sono i punti su cui si strutturava questa metodologia:

  • 1° giorno: Intraprendi un programma breve ed energico
  • 2° giorno: Esercizio fisico intenso
  • 3° giorno: Rilassati per rilanciare l’attività
  • 4° giorno: Esegui esercizi moderati

La successione doveva essere ripetuta in modo in continuativo. Partendo da questo elementare schema di lavoro possiamo capire che la modulazione dello sforzo era uno dei i criteri cardine sui quali si basava la struttura di un Microciclo.

La modulazione dello sforzo è infatti un fattore importante all’interno del microciclo, in quanto la fatica che si accumula nel corso dello svolgimento degli allenamenti può impattare significativamente sulla qualità dei successivi e lo schema “Tetra” può essere cosi schematizzato ed attualizzato:

  • A: Allenamento Tecnico
  • B: Sviluppo di Velocità/Agilità/Potenza
  • C: Sviluppo della Forza
  • D: Sviluppo della Resistenza allo sforzo in modo specifico

La ripetizione dello stimolo allenante indicato sopra diventa dunque determinante ai fini del raggiungimento della condizione messa in obbiettivo.

“Repetitio mater studiorum est”

Letteralmente, “Ripetizione è la madre dello studio”. Ripetere, eseguire in sequenza o ciclicamente sono tutti sinonimi di come i singoli stimoli debbano ripresentarsi in modo continuativo all’interno del singolo e di più Microcicli. Questo sta alla base dell’apprendimento motorio per quello che riguarda l’accrescimento del bagaglio tecnico ma serve soprattutto per concretizzare e massimizzare le varie aree di allenamento stimolate per il raggiungimento della forma ottimale. Sincronizzare i gironi di attività con quelli di recupero attivo saranno fondamentali affinché la crescita sia progressiva e metabolizzabile dall’atleta. Il recupero sarà quantificato in funzione del carico di allenamento accumulato durante un periodo medio lungo oppure legato ad una competizione o un evento specifico, mentre in base all’obbiettivo posto per il periodo in essere, verranno enfatizzati alcune tipologie di allenamento a scapito di altre che in quel momento non rappresentano la priorità. Nell’ambito degli allenamenti mirati allo sviluppo della resistenza allo sforzo, nel periodo competitivo, per esempio, l’atleta dovrà cimentarsi in questa categoria di allenamenti per 2 o 3 volte alla settimana e dedicare il resto dei giorni ad allenamenti tecnici a minore intensità o al mantenimento della forza e della capacità di “creare velocità”. Si ritiene che la ripetizione di 2 o 3 volte all’interno del Microciclo di quest’ultimi si sufficiente a mantenere un buono stato di forma. In un periodo di preparazione invece, una volta definita una tipologia di Microciclo, questo potrà essere ripetuto in modo uguale per 3 o 4 volte con lo scopo di migliorare la condizione di base. Rimane il fatto che non esiste una regola universale che per la definizione dei microcicli ma saranno le necessità personali dell’atleta, le sue capacità e i sui punti di debolezza a definire lo schema operativo, sarà quindi il piano di formazione annuale ad andare ad indicare come strutturare i microcicli. La flessibilità dovrebbe rimanere un punto di forza della formazione annuale, alcune indicazioni prevedono di strutturare solo due microcicli alla volta in modo da premettere all’allenatore una modifica puntuale in base all’andamento della condizione atletica ma questo potrebbe fare perdere di vista l’andamento annuale quindi potrebbe essere importante definire a monte la programmazione complessiva e poi modificare il piano in base allo scambio di informazioni atleta/allenatore. A prescindere dalla tipologia di redazione del micro e macro ciclo i punti fondamentali che dovranno essere ben radicati saranno i seguenti:

  • L’obiettivo del Microciclo e i fattori di allenamento dominanti.
  • La disponibilità di allenamento: numero di sessioni, numero di ore, volume, intensità.
  • La variazione di intensità del Microciclo.
  • Metodi utilizzabili
  • I giorni di allenamento
  • Flessibilità
  • Competizioni da affrontare

In funzione delle necessità annuali e degli obbiettivi posti in essere concordati tra atleta e allenatore possono essere elaborate molteplici soluzioni di Microciclo, la letteratura ne riporta alcune ad esempio, ma come detto ormai più volte l’individualità è concetto predominante pertanto non è possibile realizzare schemi standard. Riportiamo di seguito alcuni tra gli esempi bibliografici di maggiore rilevanza:

Si ipotizza che possano realizzarsi almeno 20 o 22 varianti legate ai microcicli a doppio picco di intensità. Solitamente la versione a due picchi di allenamento consente di poter ottenere un adeguato stimolo allenante ma al contempo garantisce le giuste modalità di recupero. Esistono però anche possibilità a singolo o triplo picco, tipiche quest’ultime, di una fase preparatoria dove devono essere curate più tipologie di allenamento e l’atleta solitamente si trova in uno stato di freschezza maggiore.

È possibile classificare i Microcicli in funzione degli obbiettivi intermedi da raggiungere durante l’intero arco di preparazione, essi saranno gli strumenti che ci permetteranno il raggiungimento delle varie condizioni fino al conseguimento della forma, seguita poi da un periodo prolungato di scarico e rigenerazione.

Microciclo di Sviluppo

Classifica una routine di allenamento tipica delle fasi preparatorie della stagione agonistica. Non prevede lavori particolarmente specifici ma serve a creare le basi aerobiche e bio-motorie necessarie a supportare le successive fasi di allenamento. Sono microcicli che prevedono un alto carico di lavoro per diversi giorni consecutivi alternati a giorni di recupero attivo o totale. Possono essere inserite anche altre attività complementari tipiche del periodo di formazione. Nel calcolo del volume totale di allenamento settimanale verranno tenute in considerazione tutte la attività svolte durante la settimana avendo cura di rispettare il corretto rapporto sulle tempistiche di allenamento tra l’attività principale e quelle collaterali.

Microciclo di shock

Concepito per aumentare in modo repentino le esigenze di allenamento, portano ad un rapido incremento a livello di Carico Acuto di Allenamento provocando un’importate stimolo a livello di fitness generale. Possono apportare un carico di lavoro che supera anche quello pianificato a monte. L’utilizzo di tali tipologie di approccio a breve termie sono da ritenere utili nella seconda fase preparatoria dove le basi ormai saranno consolidate e l’atleta avrà raggiunto già un ottimo stato di fitness generale; al contempo saranno da pianificare all’interno del programma di allenamento annuale sufficientemente distanziate dalle competizioni target.

Microciclo di Recupero

Lo scopo dell’inserimento di un Microciclo di recupero è quello di permettere all’atleta di metabolizzare quanto realizzato nei cicli precedenti. Dovrà essere concepito per massimizzare il recupero senza pregiudicare troppo il livello di fitness ormai raggiunto cercando di mettere in corpo nella condizione non solo di ripristinare l’omeostasi ma di implementare i livelli base di performance. Non è semplice esemplificare uno schema di recupero perché questo è strettamente collegato al periodo, alle caratteristiche dell’atleta e agli obbiettivi futuri

Microciclo di Picco – Scarico

Simile a quanto indicato nel Microciclo di Recupero ma con particolare attenzione al mantenimento della forma e la massimizzazione dell’indice di fatica. Conosciuto al mondo come Taper, questo procedimento rappresenta per molti una chimera. Periodo molto delicato dove carichi e recuperi dovranno trovare il giusto equilibrio e spesso l’esperienza dell’allenatore gioca un ruolo fondamentale.


Gestione di microcicli nella fase competitiva

Durante la fase preparatoria o pre-competitiva la gestione dei microcicli risulta essere piuttosto semplice dove il paradigma utilizzato permette, nel caso di una buona gestione, di massimizzare la super-compensazione e strutturare un carico allenante tale da rendere efficace l’incremento di fitness. La situazione si modifica quando entriamo nella fase definita come “competitiva”. Il posizionamento dei microcicli all’interno del macrociclo sarà condizionato da molti fattori, alcuni individuali e soggettivi altri legati all’ambito della competizione in se. Sarà la copresenza di questi fattori in un determinato momento a rendere l’approccio alla competizione unico, pertanto un’individualizzazione approfondita della strategia è l’unica scelta percorribile.

Saranno le condizioni atletiche individuali, la tipologia di gara e persino la tipologia di avversari che andremo ad affrontare a condizionare il tipo di approccio alla competizione. Molto importante è la frequenza degli eventi competitivi, sarà questa a incidere maggiormente sulla strategia. Ci obbligherà a rispettare giorni di riposo e di carico bilanciandoli in modo tale da garantire la conservazione o l’incremento della forma ma al contempo garantire una certa freschezza necessaria ad affrontare la gara. Procedendo per esempi possiamo presentare due modelli di Microciclo che possono adattarsi ad una tipologia di gare con cadenza settimanale.

  • Riferimenti:
  • Periodization – Theory and Methodology of Training Fifth Edition Tudor O. Bompa, PhD

Forza: la sua applicazione nel ciclismo, facciamo chiarezza.

Review: 10/2019

Migliora la capacità di scalata

Ogni uno di noi si allena quasi sempre con l’obiettivo di salire più velocemente, scalare una montagna, un passo dolomitico o la salita dietro casa potendo contare sulla maggior potenza sostenibile per durate medio lunghe. Tra i fattori che incidono sulla prestazione in salita troviamo senza dubbio l’espressione della forza. Generalmente fin dall’inverno e poi con la ripresa sempre più costante di allenamenti specifici in salita in primavera, può essere utile impostare un lavoro di allenamento della forza (in tutte le sue componenti) per essere più preformanti negli eventi che si svolgeranno nel pieno della stagione agonistica (Maratona delle Dolomites, Nove Colli, Sportfull ecc.).

L’allenamento specifico per migliorare in salita si compone di diversi esercizi ciascuno dei quali fornisce uno stimolo verso un particolare sistema energetico, ma nessuno prescinde dal coinvolgimento della forza. Per capire come questa sia coinvolta nel ciclismo faremo una premessa introducendo anche il concetto di potenza.

Tecnicamente la potenza è il prodotto della forza applicata sul pedale e della cadenza di pedalata, esiste infatti una relazione inversa tra forza e cadenza, secondo la quale è richiesta più forza per produrre una stessa potenza ad una cadenza più bassa; in fine dei conti questo è esattamente ciò che si verifica pedalando in salita rispetto allo stesso gesto eseguito in pianura.

A parte alcune prestazioni “particolari” di atleti che affrontano salite a cadenze di 85-95 rpm, la maggior parte dei ciclisti agonisti, anche di buon livello, si trova a pedalare in salita a cadenze comprese tra le 65 e le 85 rpm, se facciamo riferimento a quanto detto poc’anzi è evidente come in salita, a parità di potenza erogata i livelli di forza applicati aumentino rispetto alla pianura in virtù della riduzione della cadenza e della relazione che lega la potenza come espressione di forza per numero di pedalate al minuto.

Con un paio di esempi pratici cerchiamo di rendere più agevole la comprensione della relazione forza-cadenza-potenza.

a) Nel primo caso abbiamo un ciclista che pedala in pianura rispettando i seguenti parametri:

• Potenza erogata: 270 Watt

• Pedalate per minuto: 95 Rpm

• Lunghezza pedivella: 172.5 mm

La forza applicata ad ogni pedalata (intesa come somma della forza di entrambe le gambe nei 360°) ammonta a circa 16,3 Kg (circa 160 Nm)

b) Nel secondo caso lo stesso ciclista si cimenta nella pedalata in salita erogando la stessa potenza, con una cadenza più bassa:

• Potenza erogata: 270 Watt

• Pedalate per minuto: 75 Rpm

• Lunghezza pedivella: 172.5 mm

La forza applicata ad ogni pedalata (intesa come somma della forza di entrambe le gambe nei 360°) ammonta circa a 20,7 Kg (circa 203 Nm)

Come si può ben vedere, per mantenere in salita gli stessi 270 Watt erogati in pianura è generalmente richiesta una quantità di forza maggiore da applicare ad ogni pedalata a causa della riduzione delle rivoluzioni per minuto. Nel primo caso pedalando in pianura il ciclista imprime ad ogni rivoluzione completa del pedale, una forza pari a circa 16 kg mentre in salita, a parità di potenza ma con una cadenza inferiore, deve applicare una forza pari a circa 21 kg per ogni rivoluzione. I valori di forza che entrano in gioco nel ciclismo su strada, ma il discorso può essere esteso anche alla MTB seppur con qualche piccola differenza, sono ben lontani dalla forza massima esercitabile da atleti che si esprimono in circostanze diverse (per esempio nel sollevamento pesi). Le espressioni di forza riscontrate nel ciclismo sono mediamente inferiori al 20% della forza massima erogabile dall’atleta, difronte a queste evidenze, la moderna teoria dell’allenamento è abbastanza unanime nel ritenere che la forza massima non sia in generale un fattore limitante nel raggiungimento della prestazione.

Difficilmente vedremo scalatori puri con valori di forza tali da eguagliare atleti dediti al sollevamento pesi, casomai è loro prerogativa applicare moderati livelli di forza per ciascuna pedalata, ripetendo numerose volte il gesto nell’arco di un minuto (alta cadenza) ottenendo valori di potenza in output sufficienti a creare un gap prestazionale con i rivali.

Un esempio pratico e divertente possiamo farlo ritornando con la memoria alle battaglie tra due atleti che si sono cimentati nei grandi giri a cavallo tra la fine degli anni novanta e i primi anni 2000. Chi non ricorda i duelli Armstrong-Ulrich sulle salite del tour de France? E’ vero che l’Americano ha avuto spesso la meglio, ma non si può negare che le prestazioni dei due fossero molto simili in termini di tempi di percorrenza sulle salite dei valichi montani. Ciò che cambiava invece era il modo in cui producevano i loro migliori output di potenza, esso era frutto di un gesto di pedalata molto differente. Armstrong, in grado di imprimere meno forza ad ogni colpo di pedale, faceva “roteare” le gambe a ritmi al di sopra delle 90 rpm, mentre Ulrich dotato di grande forza muscolare esprimeva livelli di potenza simili sfruttando una più bassa cadenza di pedalata. Per essere onesti gli output di Ulrich erano probabilmente superiori a quelli del Texano, tuttavia il vantaggio era annullato dal maggior peso che era costretto a portarsi dietro. Con questo esempio pur ritenendo la pedalata di Ulrich frutto di un gesto in cui entravano in gioco maggiori livelli di forza, questi erano comunque ben lontani da quei massimali tipici di coloro che sono dediti agli “stacchi da terra” o al sollevamento pesi.

Alla luce di quanto illustrato il nostro obiettivo sarà quello di curare tutte quelle espressioni di forza che saranno funzionali al gesto atletico, ovvero necessarie a fronteggiare quelle situazioni che ritroveremo in gara.

Argomento che sarà affrontato nell’articolo di prossima pubblicazione al seguente Link


Esercizi di Muscle Tension o di Forza Resistenza

Gli esercizi di Forza Resistenza sono il primo passo verso il miglioramento delle capacità di scalata, ma non solo. Per una corretta esecuzione dell’esercizio occorre mantenere una cadenza piuttosto bassa, intorno alle 50-55 rpm, ed opporsi ad una forte resistenza con l’obiettivo di reclutare e coinvolgere più fibre muscolari per generare la forza necessaria a contrastare la resistenza in maniera continuativa e regolare. L’esercizio sopra indicato, sta subendo nel corso degli ultimi anni delle “revisioni” piuttosto importanti con lo scopo di adeguare lo stimolo alle esigenze del ciclismo moderno e alle nuove richieste che questo ci impone.

Sostanzialmente il tipo di esercizio descritto richiede alle nostre gambe di lavorare con elevati livelli forza e di reclutare più fibre muscolari per un periodo abbastanza prolungato ad un’intensità cardiovascolare aerobica.

Tutto ciò induce il sottoinsieme delle fibre muscolari di Tipo II a veloce-contrazione a cambiare le loro caratteristiche e comportarsi più come le fibre a contrazione lenta o di Tipo I. Questi adattamenti consentono di produrre più potenza e di resistere meglio alla fatica quando si produce potenza alla soglia del lattato, anche a cadenze intorno alle 80-90 rpm. Si ritiene infatti che, dopo un training specifico di SFR, anche difronte ad un aumento della cadenza si conservi una parte della capacità di produrre una maggiore forza che si tradurrà in un probabile aumento della potenza in salita quando si porta la cadenza anche intorno alle 80 e più rpm.

In genere si parla di resistenza alla fatica, come la capacità di mantenere una determinata intensità a lungo nel tempo, questa attitudine per lo più deriva dal miglioramento del fitness cardiovascolare. Tuttavia quando si aumenta il reclutamento di fibre muscolari oppure si diffonde il carico di lavoro su più fibre muscolari, aumenta anche il tempo necessario per portare l’intero muscolo all’affaticamento.

L’esecuzione degli esercizi di Forza Resistenza, che costituiscono solo uno dei mezzi per allenare uno dei domini di forza, è molto semplice e, in genere, abbastanza sostenibile. E’ sufficiente infatti una salita della durata massima di 10 min con una pendenza non troppo ripida da affrontare ad una cadenza intorno alle 50-55 rpm, esprimendo una potenza al di sotto della soglia anaerobica ma sufficiente a stimolare il reclutamento muscolare. Occorre mantenere una posizione stabile sulla bici, con le mani alte o basse sul manubrio ma facendo attenzione a non “forzare” con le braccia, concentrandosi sull’intera pedalata in modo da non lavorare troppo con i muscoli del tronco. In genere in inverno vengono eseguiti blocchi di 2-3 settimane per l’allenamento della forza separati da periodi di scarico nei quali è bene non effettuare esercizi ad intensità superiori al Vo2Max. Durante i blocchi di allenamento della forza è possibile strutturare fino a due o tre sessioni settimanali di SFR della durata complessiva compresa tra i 15 minuti e i 35-40 minuti, suddivisi in più serie di intervalli.


Il ciclismo, è uno sport dinamico in continua evoluzione e la sua capacità di adeguarsi ai cambiamenti spesso ci obbliga a rivedere i protocolli di allenamento. Oggi assistiamo, a livello mondiale, ad un’avanzata massiccia degli atleti di scuola anglosassone. In questi paesi gli investimenti in infrastrutture sia in ambito tecnologico che di ricerca, hanno permesso di poter approfondire e quindi rivisitare molte metodologie di allenamento considerate pietre miliari e pertanto insostituibili. Le basi fisiologiche su cui si basano i protocolli di allenamento rimangono inalterate ma le strumentazioni di cui oggi disponiamo ci danno la possibilità di addentrarci all’interno di un mondo che fino a qualche decennio fa poteva solo essere percepito, immaginato al massimo stimato dall’esperienza personale. Tutto questo per dire che il ciclismo è cambiato, le biciclette sono cambiate e le necessità dei ciclisti con loro. Talvolta abbandonare i vecchi schemi non è una scelta ma una necessità, molti non saranno d’accordo con quanto indicato ma la tradizione non sempre è la cosa giusta o meglio non sempre è la cosa migliore per quello che in questo momento vogliamo fare.

Vorremmo concludere questo nostro articolo scomodando semplicemente…Un Genio.

“Follia è fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi.”

Albert Einstein

Forza: definizioni, dinamiche e applicazione nel ciclismo ??‍♂️??‍♀️


Come di consueto, sta iniziando per molti un nuovo ciclo di preparazione per il calendario ciclistico a venire. Da anni ormai il ciclismo strizza l’occhio ad altre discipline, che se inserite in un programma di sviluppo adolescenziale o nella preparazione invernale, possono portare innumerevoli vantaggi futuri. Il concetto di interdisciplinarità acquisisce particolare valore in inverno, quando per motivi legati alla scarsa durata delle giornate o per il clima avverso, altre attività collaterali come il cross training o la palestra in generale sono un buon modo per scendere dalla bici e prendere confidenza con nuovi e stimolati schemi motori.

Palestra e Forza creano un binomio diretto anche se talvolta eccessivamente semplificato.

La “Forza” è la responsabile della gran parte delle dinamiche che regolano le relazioni sia nel macro che nel micro cosmo. Ci accorgiamo che in ambito ciclistico però si tende troppo spesso a parlare di forza in termini generici, in ambienti e circostanze in cui sovente, si generano fraintendimenti o malintesi.

Non dobbiamo, nel caso di persone adulte allenate (con adulto intendiamo aver raggiunto una maturità fisica e non solamente anagrafica), dimenticare il concetto di specificità e verso quale obbiettivo ci stiamo dirigendo.

Facciamo un passo indietro, introducendo il principio ed il concetto di Forza. Nomi illustri, hanno fatto la storia della scienza teorizzando, dimostrando e poi enunciando le leggi che governano le interazioni meccaniche tra i corpi. Esatto interazioni, in quanto la forza applicata ad un corpo ne altera il suo “stato di quiete” generando movimento. Fu Ser. Isaac Newton nella seconda metà del ‘600 a rendere pubblica la II° Legge della Dinamica,

?? F = m∙a

F: Forza ??
m: Massa ??‍♂️
a: Accelerazione ⚡

senza la quale non sarebbe stato possibile determinare l’entità della Forza, come grandezza vettorizzabile in quanto caratterizzata da un modulo, da una direzione e da un verso.

Con questa introduzione, doverosa, ha lo scopo di insinuare il dubbio o meglio stuzzicare la curiosità relativamente al concetto di Forza. Abbandoniamo la Fisica e la Meccanica, concentriamoci su quello che facciamo quotidianamente sulla nostra bicicletta. Lo scopo è creare movimento e per farlo dobbiamo applicare una forza tale da vincere quelle resistenze che si oppongono, attrito (rotolamento sul fondo stradale), la resistenza aerodinamica (la nostra superficie corporea che impatta con l’aria) e gravitazionale (salendo su una salita la forza di gravità ci attrarrà verso il basso). Adesso qualifichiamo e quantifichiamo questo tipo di forze che per il ciclista si tradurranno in sforzo. Lasciando perdere l’aspetto cinematico di “momento torcente” (che spiega la relazione tra la suddetta Forza (F) e il suo punto di applicazione vincolato da un braccio) e concentriamoci sull’aspetto fisiologico che questa necessità di generare forza comporta nel gesto ciclistico.

Senza ombra di dubbio, le tre principali cause di attrito indicate in precedenza, saranno una costante nella nostra attività, quindi avremmo a prescindere dalla durata, una continua Resistenza di Forza. A questo punto entra in gioco la complessità dell’attività ciclistica: la differenziazione degli sforzi in base alla durata e alla velocità di esecuzione del gesto. Variando la durata dello sforzo varieremo la risposta a livello fisiologico/energetico passando da una “Resistenza di forza “ai cosi detti “Massimali di Forza” ma variando la velocità di esecuzione modificheremo la cinematica, passando da “Forza dinamica massima” una tipologia definita semplicemente “Forza Rapida”.

La differenziazione delle Forze in gioco, relazionate alla loro velocità di esecuzione e durata, saranno il target da seguire nella struttura di un programma di allenamento specifico realizzato senza bicicletta ma PER la bicicletta. Il concetto di specificità, espresso nell’introduzione, trova qui la sua reale applicazione. Tutto quello che facciamo deve essere fatto con lo scopo di migliorare la performance e lo stato fisico generale. Allenare la condizione della forza in modo specifico, strutturato e finalizzato al miglioramento dei propri punti di debolezza.

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