Corone ovali, troviamo la quadratura del cerchio


Molti sono gli argomenti che suscitano discussioni nel mondo della tecnologia applicata al ciclismo e molte sono le opinioni che di conseguenza vi gravitano intorno. Da sempre, in primis i ciclisti, poi i meccanici ed infine, solo per ordine di comparsa, i preparatori sono ossessionati dalla ricerca della performance e di tutte quelle soluzioni che permettano di aumentare le proprie capacità agonistiche. Sotto la lente di ingrandimento sono passati tutti gli elementi possibili, dagli studi medici applicati allo sport alla ricerca dei materiali sempre più leggeri alle soluzioni tecniche più ardite e controverse come le biciclette dalle geometrie estreme costruite appositamente per battere i record dal sapore antico come quello “dell’ora”.
Affronteremo oggi, senza presunzione di completezza, un argomento che ha diviso l’utenza ciclistica in due fazioni contrapposte: “Le corone ovali, sono utili o solo l’ennesima trovata di marketing?” Facciamo un po’ di storia, i primi prototipi moderni risalgono agli inizi degli anni 80 quando Shimano lancia sul mercato le BioPace. Istallate con la parte più lunga parallela alla pedivella, vennero presto accantonate e lasciarono il mercato rapidamente. La loro però non fu una missione suicida, nel loro breve transito lasciarono il seme della curiosità tanto da insinuare il dubbio nella collettività, “…ma se fossero state sviluppate e provate a dovere sarebbero state utili?” Abbiamo dovuto aspettare gli inizi del nuovo millennio quando atleti del calibro di “Sir Wiggins” prima e “Froome” poi, hanno portato questi equipaggiamenti sul palcoscenico del ciclismo mondiale a colpi di successi. Lo sviluppo, lasciato allo stato embrionale negli anni 80, è stato ripreso e portato dalla patria del sol levante al vecchio continente dalla spagnola Rotor e dalla francese O.Symetric. Si sono succeduti poi altri fornitori.
Per capire da cosa scaturisce l’interesse verso la corona ovale, dobbiamo affrontare il discorso dal punto di vista della dinamica della pedalata e della gestione delle forze applicate.
Indicazioni sulla progettazione delle corone asimmetriche arrivano già insieme ai primi studi biomeccanici sull’analisi del movimento. Inizialmente, senza l’ausilio di particolari strumentazioni elettromiografiche, analizzando l’applicazione della forza sulle pedivelle intorno all’asse, si è cercato di valutare quali fossero i gruppi muscolari coinvolti e per quali gradienti questi fossero maggiormente attivati.
È stato stimato che il gradiente maggiormente attivato è compreso tra 20° e 140° dopo il PMS (Punto Morto Superiore). Quando il concetto di potenza erogata palesata in forma di Watt ancora non esisteva, l’indirizzo dei progettisti era quello di rendere più efficiente la pedalata con lo scopo di massimizzare la forza applicata. La visione leonardesca dell’essere umano come “macchina” concepiva il mezzo bicicletta come il prolungamento degli arti, appiccando i concetti della meccanica classica senza tenere conto della componente biologica in tutti i sui aspetti.
Tecnicamente si tratta di una soluzione che contribuisce a creare, a parità di pedalate per minuto, una distribuzione non omogenea della resistenza, ovvero la soluzione ovale, nella sua concezione moderna (con le corone che presentano il maggior diametro “tiro catena” in posizione più o meno perpendicolare alla pedivella) modifica per ben due volte nei 360° dell’angolo di rotazione intorno all’asse il posizionamento della resistenza nell’arco dell’intera pedalata. Con un po’ di fisica possiamo ricondurre il movimento centrale al Fulcro, le corone al braccio di Resistenza e la pedivella al braccio di Forza di una leva di secondo grado.
Tutti abbiamo chiaro che cosa significa passare dalla corona grande a quella piccola e quale effetto abbia quest’azione nella spinta sui pedali, diamo per scontato infatti che passando dal 52 al 36 si crei una situazione di minor tensione muscolare. Ma perché ciò accade? Semplicemente perché passando alla corona più piccola abbiamo accorciato il Braccio della Resistenza e possiamo svolgere lo stesso lavoro con una Forza Motrice minore a parità di leva (lunghezza pedivelle). (fig1) Semplificando le corone ovali agiscono analogamente al cambio di rapporto, ovvero accorciano e allungano continuamente il braccio della resistenza offrendo, appunto, una resistenza differenziata a seconda delle fasce muscolari interessate in un dato momento nella pedalata.

Il concetto degli sviluppatori è abbastanza semplice, offrire maggior resistenza quando, in relazione alla posizione di spinta, sono coinvolti distretti muscolari dotati di maggior forza (fase di spinta) ed offrirne di meno quando i muscoli interessati si trovano in una posizione svantaggiosa (fasi di superamento del punto morto superiore o inferiore) (fig 2). Un’altra chiave di lettura mette in gioco la velocità angolare di pedalata la quale subisce un effetto “altalenante” derivante dal continuo susseguirsi delle fasi di maggiore e minore resistenza generata dalle corone ovali. Nelle fasi di maggior resistenza dovuta al “tiro catena” più ampio la pedalata tende a rallentare ed il ciclista esprime più forza, per poi tornare ad aumentare nelle fasi di superamento del punto morto dove grazie al minor “tiro catena” occorre una forza minore.
A nostro avviso a parità di RPM, non dovrebbe cambiare niente dal punto di vista dei consumi energetici e della potenza erogata, infatti se da un lato deve essere applicata maggior forza in fase di spinta mantenendo costante la velocità angolare, dall’altro serve meno forza per superare i punti morti sempre mantenendo la velocità angolare costante. In alternativa, sempre a parità di RPM può essere applicata la stessa forza con una velocità angolare minore in fase di spinta ed una stessa forza con una velocità angolare maggiore sui punti morti.
In definitiva per poter esprimere una maggior potenza è richiesto che a parità di forza erogata venga aumentato il numero delle RPM o al limite a parità di RPM venga erogata più forza, le corone ovali non fanno altro che generare dei picchi di forza maggiori in alcune fasi della pedalata compensati da picchi di forza ridotta in altre fasi, anche qualora il ciclista si impegnasse a mantenere costante la forza applicata sui pedali in entrambe le fasi (di spinta e di superamento del punto morto) la conseguenza non sarebbe (a parità di RPM) un aumento della potenza erogata bensì una variazione della velocità angolare nelle varie fasi. Le nostre considerazioni a riguardo delle corone ovali possono risentire dell’incompletezza dei dati disponibili o della mancanza di studi concordi nell’esprimere un giudizio favorevole o contrario al miglioramento della performance legata al loro utilizzo. In questo articolo ci siamo limitati ad analizzare la fisica del gesto della pedalata. Rimarremo ovviamente impegnati sulla ricerca di nuovi studi sul tema.

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